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Dialogo tra Primo Levi e Dante

  • Emma Dal Molin − 4 anni
  • 0
  • 7 min read

Vedo due figure davanti a me, in lontananza; sono rivolte l’una verso l’altra e sono quasi sicura del fatto che essi indossino degli abiti che appartengono a due epoche storiche diverse. Decido di avvicinarmi per cercare di comprendere chi sono e di che cosa stanno parlando.

Sulla destra c’è un uomo con gli occhiali, la barba bianca che indossa un completo grigio molto elegante con sotto una semplice camicia bianca ed una cravatta; a prima vista posso supporre che egli abbia circa settant’anni, il suo viso emana serenità, suoi occhi sono sinceri e sconfitti e il suo sguardo cerca di nascondere una un turbamento profondo.

Mi avvicino alle due figure e rimango senza parole: uno dei due interlocutori è Dante Alighieri, l’illustre poeta, il padre della lingua italiana, l’autore della “Divina Commedia”, l’uomo politico e uno tra i più famosi e mai dimenticati scrittori italiani.

Riconosco Dante grazie ai suoi abiti del Trecento; egli indossa una tunica rossa, porta sulla testa una corona di alloro e quest’ultima poggia su una cuffia bianca.

Ora che distolgo lo sguardo dai due uomini, noto che ci troviamo in una collina incontaminata, senza edifici, case, macchine e fabbriche, ci siamo solo noi e la natura che sembra che si stia risvegliando dopo l’inverno.

Non ho ancora capito, dove sono? Cosa ci faccio qui? C’è qualcosa, forse un istinto, che mi spinge a voler conoscere, a tutti i costi, l’argomento del dibattito tra Dante e l’altro uomo, che non ho ancora riconosciuto.

Mossa dalla curiosità mi avvicino a Dante e all’altro individuo e un particolare attira la mia attenzione; sul braccio dell’interlocutore del sommo poeta è presente un numero tatuato, il 174517. All’improvviso tutto mi risulta chiaro, colui che conversa con lo scrittore fiorentino è Primo Levi.

Primo Levi fu un parigiano antifascista, visse sulla sua pelle gli orrori dei campi di concentramento, in seguito divenne un testimone dell’Olocausto e uno scrittore; egli ha scritto “Se questo è un uomo” ed è stato uno dei libri più commoventi e profondi che io abbia mai letto.

Improvvisamente tutto ha un senso, o forse l’esperienza che sto vivendo non ha nulla di sensato, ma non voglio che tutto ciò finisca, di qualsiasi cosa si tratti, voglio conoscere il contenuto della loro conversazione; così mi avvicino cercando di non farmi vedere, ma ho la sensazione che loro sentano la mia presenza.

Sento distintamente che Primo Levi dice: “L’Inferno esiste davvero, io l’ho visto con i miei occhi, l’Inferno si trova in Polonia e non è in un luogo solo ma è stato costruito in diversi posti in Germania, in Italia e in Polonia.”

Allora Dante non riesce a trattenere la sua curiosità ed esordisce dicendo: “Cosa stai insinuando? Che è l’uomo ad aver creato l’Inferno? È Dio che ha creato l’Inferno, il Paradiso e il Purgatorio, l’essere umano non ha alcun potere, tutto ciò che esiste è voluto da Dio. Germania? Italia? Polonia? Impossibile, l’Inferno si trova sotto Gerusalemme ed è una profonda cavità a forma di imbuto che raggiunge il centro della Terra.”

Primo Levi si mette a sorridere e riprende il discorso così: “Mi perdoni se non sono riuscito a trattenere il sorriso, non è mia intenzione mancarvi di rispetto; io rispetto il suo Credo religioso, rispetto la sua visione religiosa dell’Inferno, ma io ho conosciuto un Inferno slegato da ogni legame con la religione, l’Inferno a cui mi riferisco non è abitato da anime che hanno terminato la loro esistenza terrena in quanto sono ancora vive; nel “mio” Inferno non c’è il fuoco che scalda ogni cosa e non è sotto terra, ma avviene tutto a contatto con la luce del sole.

Forse è meglio chiamare “l’Inferno”, che ho conosciuto, con il suo vero nome, ossia campo di concentramento di Auschwitz.”

Dante: “Il tono deciso e sofferente della sua voce e il suo sguardo mi fanno comprendere l’importanza degli eventi che lei sta iniziando a raccontare, metterò da parte la religione e il potere spirituale poiché, a quanto pare, i fatti che narrerà verranno inseriti all’interno del contesto del potere temporale. Iniziate il vostro racconto, sento che avete la necessità di iniziare.”

Dopo aver respirato profondamente Primo Levi risponde: “ In Germania e in Italia, dopo la pubblicazione delle leggi razziali, gli ebrei iniziarono ad essere perseguitati, essi non potevano più avere un lavoro, non potevano più entrare nei negozi e i bambini non potevano andare a scuola; gli Ebrei vennero esclusi ed emarginati dalla società soltanto perché si era diffusa la credenza secondo la quale la razza ariana era superiore a quella ebrea; inoltre si pensava che gli ebrei volessero rubare le  ricchezze allo stato al fine di trarne un vantaggio economico personale. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale i tedeschi, come gli italiani, iniziarono a deportare gli Ebrei nei Lager, perseguendo un unico obbiettivo: la completa eliminazione degli Ebrei”

Dante è turbato dalle parole appena udite, quindi resta in silenzio.

Così Primo Levi continua il suo discorso: “Io sono ebreo e mi schierai contro i fascisti, ossia contro coloro che volevano distruggere un intero popolo, mi scoprirono e venni deportato nel capo di concentramento di Auschwitz, qui ho visto le peggiori cose che un uomo possa vedere; ho perso la mia umanità, ho perso il mio spirito e la mia coscienza, ho perso la dignità e ho trascurato i miei valori.

Auschwitz era una macchina creata per uccidere uomini, per ucciderli nei modi più crudeli possibili: nelle camere a gas, nei forni crematori, nelle finte docce, mediante fucilazioni, riducendo le persone a scheletri per poi farle morire di fame, facendoli morire per gli sforzi oppure a causa di malattie, usando i bambini come cavie da laboratorio e in molti altri modi atroci.

Non eravamo uomini; eravamo un numero, non eravamo più esseri umani, non avevamo affetti personali, nessun contatto con il mondo esterno, solo sofferenza e dolore. L’istinto di sopravvivenza era l’unica cosa che ci apparteneva e grazie a questo cercavamo di sopravvivere in qualunque modo possibile. Anche se quella non era vita, ci aggrappavamo ad ogni piccola briciola di normalità per tirare avanti e per non fare vincere la macchina assassina. Questa macchina venne distrutta, io mi salvai, ma persi molte persone a me care e la mia vita e quella dei miei compagni rimase per sempre segnata, come la mia pelle, da ciò che ho vissuto e visto.

Molti, se pur sopravvissuti ai campi di concentramento, non ce l’hanno fatta e si sono suicidati, ma io ho sentito il bisogno di testimoniare per fare in modo che nella storia dell’umanità non accada mai più una cosa simile.”

Dante è sconvolto, ma risponde: “Nella mia vita ho criticato la situazione politica e sociale dell’Italia e di Firenze che era caratterizzata da continue lotte e scontri, ho sempre trovato le parole giuste e adeguate per descrivere il mio punto di vista, ma non trovo le parole per commentare ciò che ho appena sentito; l’esilio è stato il più grande dolore che ho provato, ma nonostante ciò la mia dignità di essere umano non mi ha mai abbandonato; io non riuscirò mai a comprendere fino in fondo ciò che tu hai passato, ma posso solo affermare con assoluta certezza che la tua opera e le tue testimonianze sono un tesoro prezioso per chi verrà in futuro e per fare in modo che questi orrori non avvengano mai più.”

Primo Levi resta in silenzio, mentre Dante aggiunge: “Ora ho bisogno del tuo aiuto per aggiungere alla Divina Commedia questi eventi storici, perché voglio contribuire affinché essi non vengano dimenticati.”

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