I social e il terrorismo. La lezione ancora da imparare

di Daniela Tarquini

– Terminato il “can can” mediatico, che segue sempre l’onda di terrore prodotta dagli attacchi barbari alle nostre città, è adesso davvero il tempo di fermarci e di fare qualche riflessione su come il nuovo mondo, il mondo social, ha vissuto e vive tutto questo.

#Bruxelles, #PrayforBruxelles, #JesuisBruxelles e #NotInMyName. Sono gli hashtag che sono stati di tendenza per giorni sui social network per esprimere il proprio disgusto per l’ennesimo attentato che il mese scorso ha causato vittime innocenti nel cuore della capitale belga. La solidarietà e il sostegno nei confronti delle vittime si sono moltiplicate. E fra i trend di Twitter è spuntato l’hashtag #StopIslam. Inizialmente inteso per dire “basta incolpare l’Islam”, è stato trasformato da alcuni Estremisti in un Hashtag per denigrare la religione. Così migliaia – forse addirittura milioni – sono state le persone di fede musulmana che hanno preso le distanze dal gesto di pochi fanatici. Gli utenti, che hanno rifiutato questo hashtag considerandolo razzista, sono stati la larga fascia di popolazione che interpreta la propria religione in maniera pacifica. I tweets si sono allora moltiplicati e tutti si sono trovati a combattere quell’hashtag insensato con una certezza senza tema di smentite: “Il terrorismo non ha religione. Informatevi”,
“Ciao, ho 17 anni, sono musulmana e non sono una terrorista. Quindi smettete di incolpare la mia religione”, dice una ragazza. “Il terrorismo non ha spazio nell’Islam”, dice un altro. “Se c’è qualcosa da fermare, quello è il terrorismo, non la mia religione”. “L’Islam è una religione di pace. Non accetta il terrorismo, aprite le vostre menti” oppure “Ancora una volta veniamo incolpati per un gruppo di patetiche persone disumane che dicono di essere musulmani. Basta.”
Il messaggio nato da questi tweet è chiaro #IsisIsNotIslam

E tutto questo, più di un mese dopo, sembra ancora da imparare.

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