Omicidio Chiara: non dobbiamo restare immobili

Domenica 27 giugno Chiara Gualzetti esce di casa e saluta per l’ultima volta i genitori. Poche ore dopo verrà accoltellata, picchiata e abbandonata dalle mani di un sedicenne, suo amico. L’omicidio è compiuto nei pressi dell’Abbazia di Monteveglio, sui colli bolognesi. L’assassino, Davide (nome di fantasia), racconta di essere stato sollecitato da un demone interiore che da tempo si era impossessato del suo volere. 

Le parole del giovane celano un’interiorità alquanto tediata e contorta. Infatti, dopo la prima confessione egli non è sembrato per nulla turbato ed ha dichiarato ai carabinieri: “Sono state delle voci a dirmi di ucciderla” concludendo con “Ho scelto lei perché mi stava sempre addosso. Mi aveva scocciato. Non la sopportavo più”. Un delitto premeditato, calcolato e quasi summenzionato dalla chat che il padre Vincenzo qualche giorno dopo ha scoperto: “Se mi uccidessi non mancherei a nessuno”, “Ti do una mano io, se proprio vuoi”. Per le forze dell’ordine è un tassello per ricostruire la figura malvagia e cinica di Davide, per i genitori un profondo esame di coscienza, perché forse, se i due avessero attribuito maggior peso all’atteggiamento di Chiara, oggi sarebbe ancora viva.

Depressione e disturbi giovanili

Davide ha messo fine alla vita di una sua coetanea, ma ciò che impressiona è la lucidità con la quale ha agito. L’interrogativo che ne scaturisce è se la volontà dell’indagato sia stata mossa da problemi patologici o da una disarmante razionalità. Per constatare ciò, il giudice ha disposto una perizia psichiatrica. Eppure il caso di Chiara non è un episodio isolato, bensì un frammento dell’enorme voragine di cui troppo poco spesso ci rendiamo conto. La vicenda non deve scorrere veloce nei fiumi di parole dei giornali, deve essere il principio di una riflessione, di un’indagine che esamini il mondo degli adolescenti e ne ricavi le problematiche comuni. In Italia, solo negli ultimi anni l’emergenza psichiatrica nella fascia 0-18 anni è un tema trattato con la giusta attenzione. Purtroppo la pandemia ha peggiorato ulteriormente la situazione. La percentuale di ragazzi che soffrono di depressione è in costante crescita ed il numero di suicidi la segue di pari passo. 

Cosa intendiamo fare quindi? Restare immobili? Certo sarebbe più semplice. Non si rischia di sbagliare. Dopotutto ci sono esigenze superiori. I giovani di oggi poi sono diventati tutti indolenti. “E’ un po’ che vedo mia figlia giù di tono. Sarà il ragazzino”, è ciò che Vincenzo, padre di Chiara, ha detto al collega in pausa pranzo, qualche giorno prima dell’uccisione. Ora quelle parole sono come martelli pneumatici. Se potesse tornare indietro, se solo potesse avere una seconda chance. Ecco, noi tutti, quella chance, la abbiamo ancora, e sarebbe corretto, nei confronti di Vincenzo, farne buon uso. E’ perciò necessario che questo impegno venga messo in pratica a partire dalle persone che ci sono vicine.

La difficoltà di esporsi

Spesso il dialogo è massacrante. Entro il contesto familiare si preferisce tacere. Così la mancanza di comunicazione crea dei muri interpersonali. Col passare del tempo questi si fanno spessi, invalicabili, tali che alla fine, all’interno della stessa abitazione, non ci si riconosce più. Il passo successivo è l’isolamento. La condizione di non appartenenza. Come avrebbe potuto allora Chiara, o chi per lei, esprimere il suo stato d’animo, aprirsi a genitori che somigliavano più a due sconosciuti? Qualcuno ha mai provato veramente ad ascoltarla? “Ascoltare”. Un lavoro difficile ma al contempo banale. Richiede due fattori: un interlocutore che parli ed un destinatario che ascolti. Chiara con Davide discuteva eccome, raccontava lui le difficoltà che attraversava, i dissidi familiari. Tuttavia lui non era interessato ad aiutarla, piuttosto alimentava il suo senso di fragilità. La fiducia riposta in quella chat Whatsapp non era ricambiata. Dunque, per quale ragione lei si ostinava a credere in lui?

In fisica verrebbe chiamato fenomeno della “rifrazione”. Esso rende la materia distorta ai nostri occhi. Nel deserto, quando si è allo stremo delle forze, è facile avere miraggi a causa di questo effetto, complice la scarsa nitidezza con cui si analizza la realtà. Allo stesso modo Chiara, abbandonata alle proprie paure, ha visto in Davide una fonte di salvezza, qualcuno che la potesse mettere al sicuro. Il bisogno impellente di aggrapparsi a qualcosa per superare un ostacolo, per sopravvivere, è intrinseco all’uomo. I tempi odierni, però, non permettono che ci si fermi per curarsi degli altri. Qui vince chi domina, chi sottomette, e muore chi aspetta, chi ama e chi protegge. Così, presi da questa fiumana, finiamo per allontanarci dagli affetti, diventiamo estranei. 

Chiara, sola in una realtà brutale

La fiducia smisurata di Chiara si è scontrata con un mondo impassibile, freddo. Colei che ha amato ha perso. L’indifferenza di chi le stava attorno è il più grande rammarico. Gli amici a cui Davide ha confessato le intenzioni e che non sono stati in grado di intervenire sembrano nascondere un alone di complicità. Certo un tale finale era probabilmente inimmaginabile. Tuttavia l’indole efferata con cui egli trattava Chiara era nota. Come si può allora essere incuranti di un comportamento del genere? Come si può restare fermi a guardare? Accumulo domande, lo so. Ammetto che sarebbe irragionevole colpevolizzare chiunque altro quando la morte di una ragazzina è stata decisa dalla spietatezza di uno.

“Lei si truccava forte per nascondere un dolore. Lui si infilava le dita in gola, per vedere se veramente aveva un cuore. Poi quello che non aveva fatto la società l’ha fatto l’amore” canta Mannarino. Badiamo a chi ci sta attorno. Interessiamoci delle difficoltà altrui. Tuteliamo chi ci vuole bene. Chiara è tua figlia. Chiara è la tua amica. Chiara è la discussione che non hai voluto iniziare, il problema che non hai voluto affrontare.