TURCHIA/Donne in piazza per i loro diritti

La Turchia si ritira dalla Convenzione di Istanbul. Le donne scendono in piazza per protestare, la parità di genere è messa in dubbio nel paese guidato da Erdogan.

La Convenzione di Istanbul è un trattato internazionale sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Il 12 marzo 2012 la Turchia fu la prima a firmare, in seguito, altri 44 paesi la seguirono. Lo scorso 20 marzo il presidente Erdogan ha revocato la partecipazione della nazione alla convenzione attraverso un decreto presidenziale.

Cosa comporta il ritiro dalla Convenzione?

L’incidente diplomatico della sedia mancata, nell’incontro che doveva essere di avvicinamento tra UE e Turchia, è esemplare della difficoltà dell’Europa di esercitare il ruolo di leadership che le spetterebbe. Nel frattempo il dittatore turco decide di allontanarsi dalla Convenzione per avvicinarsi ancor di più agli schieramenti politici reazionari, di estrema destra, che non tollerano la libertà di scelta delle donne e l’affermazione di una effettiva uguaglianza di diritti. La donne turche soffrono l’incubo della violenza di genere da anni, nell’anno 2020 sono stati registrati più di 400 femminicidi, numeri che parlano da soli. La tradizione e l’ideologia patriarcale, che non coincidono con il desiderio di parità di genere, non devono essere una scusante per l’arretratezza morale e civile del paese. Ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul significa cancellare la promessa di combattere la violenza contro le donne fatta a livello internazionale e non riconoscere gli obblighi assunti come Stato di combattere la violenza maschile, condannando le donne a subirla.

Qual è stata la reazione?

Le donne turche non ci stanno a farsi ricacciare indietro e ad accettare di subire in silenzio la violenza domestica e di genere. Tra i gruppi discriminati non vi sono solo le donne, il consenso verso Erdogan da parte dei gruppi di estrema destra è anche frutto di una demonizzazione della comunità LGBT+. In questi giorni migliaia di persone sono scese in piazza a protestare contro la scelta del presidente. Di fatto, la vera opposizione al governo è composta dai movimenti per i diritti umani e si manifesta con le proteste di uomini e donne mediante cortei. Il potere autocratico di Erdogan però sta mettendo a tacere ogni tipo di opposizione. Lo stesso ritiro da una convenzione europea non è legalmente permessa, infatti attivisti e politici ritengono che la scelta presa unilateralmente abbia bisogno del passaggio in Parlamento. Gli attivisti si sono mossi facendo appello al Consiglio di Stato Turco, se quest’ultimo confermerà l’illegalità dell’atto, vi è la possibilità di annullare il decreto passando per la Corte Costituzionale. Conoscendo la corruttibilità degli organi di Stato, non si è molto speranzosi sulla risposta giudiziaria, nonostante ciò i movimenti per i diritti umani continueranno a farsi sentire. L’Unione Europea si è opposta alle decisioni di Erdogan, invitandolo a un ripensamento. L’atteggiamento preso dalla UE è comunque flessibile, dovendo tener conto del ruolo strategico della Turchia nella gestione dei flussi migratori.

Sebbene l’UE abbia firmato la Convenzione di Istanbul il 13 giugno 2017, sono ancora molti i paesi europei a non farne parte. Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia non hanno infatti ratificato la Convenzione. Nonostante vi siano ancora troppe contraddizioni, l’impegno per il rispetto dei diritti umani rimane comunque al centro delle proposte formulate dall’UE. La speranza è che la montagna di parole sia poi seguita dai fatti.