HATE SPEECH/L’odio nascosto dietro allo schermo
Il mondo attorno a noi continua a mutare, e con lui la nostra società, e tocca a noi starle dietro.
Andiamo quindi a conoscere un fenomeno tra i più diffusi e discussi della rete, dalle prime pagine dei giornali alla vita di tutti i giorni: l’Hate Speech.
Cos’è e come è nato l’Hate Speech?
Anche se oramai è un’espressione molto comune, non esiste una vera e propria definizione di “hate speech” o “discorsi d’odio”. Sebbene questo vocabolo sia nato solamente negli anni ‘90, questo fenomeno era già presente molti decenni prima, sotto forma di “incitamento all’odio”. Questo astio era rivolto verso le minoranze religiose e culturali, basti pensare momenti storici passati alla storia come l’Olocausto o magari episodi meno conosciuti come il genocidio armeno, avvenuto tra il 1915 e il 1917. Quindi, all’interno di una definizione generale di hate speech ricade ogni espressione violenta o discriminatoria nei confronti di una persona, di un gruppo, ma anche di una minoranza, come affermato in precedenza.
Hate Speech al giorno d’oggi
Ai giorni nostri l’hating avviene soprattutto sui social network, diventando una piaga sociale, tanto che gli “addetti ai lavori” cercano di combatterlo, cancellando messaggi, tweet o anche limitando account che incitano all’odio. A questo riguardo, pochi giorni fa la pagina ufficiale Twitter dell’ormai ex presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, è stata limitata e successivamente bloccata. L’azienda di San Francisco ha spiegato che è stata costretta a compiere questa azione a seguito degli innumerevoli tweet che incitavano alla violenza e all’odio, il capolinea è stato l’11 gennaio quando i sostenitori Trumpiani hanno fatto irruzione nel Congresso.
Chi è e come si riconosce un hater?
Un hater, a differenza di quello che si potrebbe pensare, spesso non è un soggetto specifico che ha difficoltà nel relazionarsi in modo civile, ma una persona qualunque che, in un determinato contesto, smette di essere conscia delle proprie parole o gesti, mossa da una forte emotività o da un particolare disprezzo per la vittima del suo odio. Tra quelli che potremmo definire come “hater occasionali” si nascondono però anche persone che hanno fatto dell’odio il loro pane quotidiano e provano piacere nel diffonderlo in rete nei modi più disparati, incontrando purtroppo a volte anche il consenso dei meno attenti.
Dall’ hating si è sviluppato nel tempo un sottogenere che è andato distaccandosi dal concetto iniziale di odio: il flame.
Ma cos’è il flame?
Il flame è una pratica che consiste, come dice l’etimologia stessa della parola, nel “fiammeggiare”. Nel contesto della rete questo significa creare scompiglio, essere abili nello sfruttare le occasioni per lanciare sagacemente delle “frecciatine” e innescare un dibattito molto aspro e acceso… fiammeggiante, appunto.
Il flamer quindi, a differenza di un hater che può essere sbadato e incauto nei suoi commenti, è una persona molto abile nel fiutare l’occasione per inserirsi al meglio e ricavare un risultato che faccia discutere di sè; un flamer interviene quindi, in maniera prevalentemente ironica o sarcastica, all’ interno dei temi più caldi e contro le persone più facilmente attaccabili.
Come possiamo combattere l’odio in rete?
Sono sempre di più su tutti i social i commenti di odio gratuito a raggiungere un alto numero di like e condivisioni, fomentando una comunicazione del tutto simile a quella di uno stadio: la nostra società rischia di perdere il gusto di un confronto civile e costruttivo a discapito di uno fatto di slogan e insulti personali.
Dobbiamo quindi essere noi stessi per primi a scoraggiare e sabotare questa comunicazione, ignorando i commenti che non meritano la nostra attenzione. Inoltre, noi stessi potremmo diventare degli hater per qualche minuto, in un momento di incoscienza, per poi pentircene subito dopo.
La rete ha però un meccanismo crudele, che a volte non ci da la possibilità di rimediare ai nostri errori: quello che scriviamo viene letto da decine, centinaia se non migliaia di persone nel web prima che possiamo accorgerci del nostro errore, dobbiamo quindi sempre operare con coscienza e ragionare bene prima di premere il tasto “invio”, e diventare noi stessi delle vittime.