PROCESSO SHOCK/Non è stupro, è un maschiaccio
– di Sara Carminati
- Si sarà inventata tutto quanto, guardatela, non può essere stata stuprata, non sembra nemmeno una donna, è un maschiaccio.
Parole che farebbero venire i brividi a chiunque, peggiori se uscite dalla bocca di tre giudici donne.
Siamo ad Ancona, nel marzo 2015, quando una ragazza di origine peruviana di 22 anni si reca in ospedale accompagnata dalla madre. Afferma di essere stata stuprata da un suo coetaneo mentre un suo complice faceva da palo. I tre dopo aver concluso le lezioni serali si sarebbero recati al bar per bere. Bere molto. Al punto che la ragazza e uno degli imputati si sarebbero appartati più di una volta. I ragazzi affermano davanti alla corte che lei era consenziente, ma questa ad un certo punto ha smesso di esserlo. I medici riscontrano infatti lesioni, che potrebbero essere legate alla violenza sessuale, e un’elevata dose di benzodiazepine nel sangue dell’offesa che non ricorda di aver assunto.
Dopo il processo, nel 2016, il ragazzo dello stupro e il suo favoreggiatore vengono condannati rispettivamente a cinque e tre anni di carcere.
La faccenda sembra essersi conclusa quando i due ricorrono, nel 2017, alla Corte d’Appello che dà loro ragione perché non ritiene abbastanza credibile il racconto della ragazza.
A firmare sono tre giudici donne che, dimenticando che il loro ruolo è quello di giudici penali e non di sfilate di bellezza, si lasciano andare a commenti poco consoni, definendo la “scaltra peruviana” come poco affabile e troppo mascolina per essere oggetto di desiderio.
Affermano inoltre che non è da escludere il fatto che potrebbe essere stata la stessa ragazza, avente la madre come complice, ad aver complottato per questa messinscena, ubriacandosi per poi provocare il ragazzo per divertimento.
Secondo le tre giudici i ragazzi devono essere assolti. Perché, come sembrerebbe confermare la foto sul fascicolo processuale, lei è troppo mascolina per essere desiderabile.
Un ragionamento che fa venire i brividi.
Estremamente sessista e, a quanto pare, anche con una sfumatura razzista dato quel “scaltra peruviana” che, in un qualsiasi contesto ma a maggior ragione in un processo penale, non dovrebbe uscire dalla bocca di nessuno.