RACKETTE/Superare Antigone, Modernità e Post-modernità

E se la legge dello stato non rispondesse alla morale? La moderna “Antigone” Carola Rackete è ormai da settimane al centro di ogni dibattito, e la crisi in cui è entrato il governo questa mattina ci spinge a chiederci quanto effettivo peso abbiano avuto le sue azioni.

Il NO TAV dei M5S è il casus belli, ma i rapporti tra i due partiti erano ormai incrinati da un “decreto sicurezza bis” non voluto dai Pentastellati, la cui necessità è apparsa sempre più evidente dalla possibilità che il caso Carola si ripetesse innescando una reazione a catena (già la ONG Mediterranea ne aveva seguito le orme). Nel frattempo, l’avvocato filo-leghista Giuseppe Perdichizzi imbratta, armato di bomboletta spray, il murales “Santa Carola protettrice dei rifugiati” che tanto ha fatto parlare nei giorni precedenti. E come ogni tragedia che si rispetti, anche la nostra Antigone finisce con una sconfitta.

L’accostamento con l’opera di Sofocle appare effettivamente molto azzeccato: l’eroina che antepone i diritti umani – e primo fra questi quello inalienabile alla vita – alle leggi ingiuste dello stato; l’esistenza di una “fysis” (legge di natura) antecedente ogni “nomos” (legge contrattata fra cittadini). Eppure, forse la questione non può essere liquidata in maniera così semplicistica. Volendo andare un po’ oltre gli spiacevoli commenti dei leoni da tastiera che su FB inneggiavano ad ogni forma di violenza contro la capitana della ONG e chiedevano che questa fosse abbattuta, siamo sicuri che questo governo e chi lo sostiene non credano anch’essi di aderire ad una qualche “fysis”?

Modernità e Post-modernità a confronto:

Due guerre mondiali, la minaccia di un’imminente estinzione di massa, false promesse di uguaglianza sostanziale per tutti a giustificazione di un potere dispotico e irrispettoso di qualsiasi libertà formale, e ancora nefaste conseguenze di una spregiudicata ottica di dominio nei confronti della natura di cui il surriscaldamento globale non è che la punta dell’iceberg. Insomma, chi più ne ha più ne metta, ma il XX secolo ha decretato l’impossibilità delle “grandi narrazioni”. Non più il mito di un progresso continuo ed immanente alla storia, non più l’idea che il negativo fosse solo un momento in funzione del positivo affermarsi dell’Uomo. E, come ha detto Adorno, di fronte a Auschwitz tutta la filosofia precedente è spazzatura. Il post-moderno rifiuta i miti della modernità, la centralità attribuita alla coscienza umana e qualsiasi trattazione sistemica/finalistica della storia. I sistemi hanno prodotto le ideologie, e le ideologie hanno fatto 100 milioni di morti. La prossima ideologia potrebbe spazzare via l’umanità. Il pensiero è diventato, secondo la definizione di Vattimo, “debole”: niente più tentativi di racchiudere il molteplice in una totalità o unitarietà, ma piuttosto riconoscimento della pluralità dell’esistente e della inefficienza di ogni riduzione. Ovvie le conseguenze in politica. L’800 aveva concepito l’individuo in funzione dello stato, sminuendo il valore della singola esistenza. Le costituzioni democratiche del secondo ‘900 si sono invece fondate su un principio personalista-pluralista che rispettasse i singoli nelle loro diversità.

Un conflitto di posizioni mai estinto:

Salvini rappresenta e ripresenta una di quelle “grandi narrazioni” di cui da tempo non sentivamo parlare, ma alle quali siamo in fondo un po’ affezionati. Socialmente, il post-moderno si è accompagnato a una diffusa sensazione di vuoto-mancanza, quasi che nessuno avesse più qualcosa in cui credere, credere davvero s’intende, se non quegli slogan preconfezionati che in TV insegnano-inculcano l’importanza del rispetto reciproco. Ad un mutamento culturale, non è corrisposto un mutamento, bensì una assenza in campo sociale. Bel problema! Ora non sono pochi quanti credono errato il paradigma del post-moderno e auspicano un improbabile “ritorno alle origini”. Il motivo potrebbe essere rintracciato in una mancata educazione: il fallimento di un non-paradigma che non ha saputo imporsi attraverso il dialogo intergenerazionale. Ma c’è un elemento che stona: sono proprio i giovani, quelli che il post-moderno l’hanno vissuto, che storcono il naso di fronte alla possibilità di un cambiamento in questa direzione. Ora possiamo pensarla in un’ottica marxista, secondo cui le condizioni economiche sono tali da impedire a chi nel sistema nasce di pensare altrimenti. Oppure possiamo credere che nel post-moderno davvero ci sia qualcosa di salvabile e di altamente preferibile a tutto ciò che l’ha preceduto. E che invece qualcosa vada ripensato.

Rackette a difesa del post-moderno:

Sospendiamo momentaneamente il giudizio sulla possibilità concreta di un invasione di massa di popolazioni africane in Europa. Sospendiamo inoltre il tentativo di ricondurre ciò ad un qualche piano per indebolire l’Europa. Avremo il ritratto di una ragazza che tenta con ogni mezzo di salvare uomini, poiché la cultura che l’ha cresciuta ha questo come unico valore: la vita di una persona vale più di tutto l’apparato statale; il diverso va accolto e rispettato, riconosciuto come nostro pari.

Salvini baluardo del moderno:

Accorgiamoci però che le ondate migratorie sono un dato di fatto, che siano o meno volute e addirittura provocate dalle cosiddette élite. Ricordiamo anche che al di là di future ibridazioni culturali che questo comporta – ai nostalgici del romanticismo europeo faccio notare che la cultura non viene mai persa, ma evolve sin da quando è esistita – il problema economico rimane: è possibile continuare ad accogliere senza compromettere le condizioni economiche dei nostri lavoratori? è possibile oltre che accogliere integrare? O dalla prospettiva opposta: se è vero che accogliere è un bene per il singolo profugo, lo è anche per il suo paese? non stiamo privando l’Africa della sua forza-lavoro?

Il primato dell’individuo ci distoglie dal pensare in termini di totalità e di effetti a lungo termine, eppure questi effetti sono possibili se non addirittura probabili. E allora il dissidio non è più tra legge interiore e legge esteriore, ma è tra due leggi, una delle quali privilegia la singola vita, mentre l’altra ritiene ammissibile sacrificare una pedina per non perdere la partita. Ed è difficile dire quale sia giusta e quale no. Perché sacrificare una pedina non rende più probabile la vittoria, e sacrificarne tante – ammesso che possa definirsi una vittoria – può darsi che avvicini soltanto ad una situazione di stallo.

La soluzione:

La soluzione non c’è. Rimane soltanto l’analisi avalutativa. Prima di qualsiasi soluzione occorre riconoscere lo status quo. Il post-moderno ha il proprio limite nel pensiero non-processuale, il proprio punto di forza nel riconoscimento che il nostro potere si esercita soprattutto sul contingente e che ogni pretesa sistemica porta con sé il rischio del totalitarismo. Le “grandi narrazioni” sono causa di conflitti, soprattutto se consideriamo che ogni popolo ha le proprie. Il moderno ci ricorda che viviamo ancora nella storia, e le nostre decisioni hanno conseguenze anche non immediate. E tra il salvare vite e il sacrificare pedine, la scelta ci chiama solo ad una consapevolezza: non ci sono soluzioni facili o decisioni idiote se non agli occhi di chi non la pensa come noi.

E se davvero fosse possibile pensare altrimenti? Trovare una soluzione nel rispetto dei diritti umani rivolta non solo all’immediato presente? O siamo ormai troppo intrappolati, citando Spengler, nell’inevitabile “tramonto dell’Occidente“?