Ulisse/ il viaggio alla ricerca della felicità

di Maria Elena Cassinelli

– Nell’arco di questi cinque anni è stata trattata un’infinità di tematiche particolarmrnte interessanti che, talvolta, hanno addirittura dato luogo ad animati dibattiti. Tra questi, l’argomento che più mi ha colpito è, sicuramente, quello della felicità. È stato interessante scoprire come, nel corso della storia dell’uomo, un argomento apparentemente tanto semplice abbia dato adito ad infiniti dibattiti ed interpretazioni.

Omero ha composto un’opera mastodontica per diffondere gli ideali di una casta guerriera che riteneva che la felicità risiedesse nell’onore e nella gloria derivante dalle imprese militari. Eppure la figura di Ettore, che rinuncia alla possibilità di veder crescere il proprio figlio, per inseguire l'”aretè”, perde un poco della sua alterigia. Con l’ultimo saluto alla famiglia sulle porte Scee e l’attimo di smarrimento in cui corre intorno alle mura, inseguito da Achille, sembra mettere in dubbio questo ideale di felicità. Achille si ritiene responsabile per la morte di Patroclo, essendosi rifiutato di combattere fintanto che non gli fossero stati riconosciuti i giusti onori, e si dispera.

Le certezze cadono e Omero deve ritrattare: la felicità non è più la gloria, ma la serenità dopo gli orrori della guerra, viaggi interminabili e incontri poco fortuiti.Odisseo inganna, raggira, non teme il disonore: tutto per poter riapprodare ad Itaca. Achille lo ammomisce: è meglio vivere come il più umile dei servi, piuttosto che essere re nel regno dei morti.Ma come può Odisseo rimanere fermo su una minuscola isola circondata dal mare, sapendo che tutti i luoghi che ha visitato sono un nonnulla rispetto alla vastità della Terra?

L’Ulisse di Dante non cerca più la pace, ma la conoscenza di ciò che non ha ancora visto, quello dell'”Ultimo viaggio” di Pascoli, la verità su ciò che ha vissuto. Entrambi i tentativi naufragano e Dio e Calipso si limitano ad evidenziare il loro sbaglio, ma non danno loro risposte soddisfacenti. Dove sta l’errore? È forse sbagliato  desiderare?

Il problema non è il desiderio in sé, quanto l’oggetto dello stesso. La brama del desiderio inteso come “sensucht”, “streben” porta il Faust di Goethe a cedere la propria anima a Mefistole per una battaglia destinata al fallimento. L’uomo è un essere finito che desidera l’infinito. La natura, dice Leopardi, insinua nell’uomo un desiderio di piacere infinito per durata ed intensità.Eppure anche questo tentativo di raggiungere la felicità risulta illusorio: il piacere non è altro che il sentimento effimero che deriva dallo “scampato pericolo” o dell’attesa del piacere stesso.

Lucrezio, seguace della filosofia epicurea, avrebbe potuto obbiettare che l’uomo, per poter condurre una vita serena, dovrebbe cercare di soddisfare solo i “bisogni naturali e necessari”, senza rincorrere un piacere istantaneo e illusorio. Eppure non ha, forse abbandonato ogni cosa, giungendo sono all’atto estremo del suicidio, secondo alcuni, per via di un rifiuto in campo amoroso? Come può l’uomo essere felice, se per evitare di soffrire in futuro deve reprimere la propria natura, che tende ad un qualcosa di più elevato?

Magari la felicità non è un qualcosa di raggiungibile in questa realtà. Aveva, forse ragione Kant, affermando che essere felici significa conformarsi al sommo bene e raggiungere, dunque, una forma di santità non realizzabile nel mondo fenomenico? Il raggiungimento della felicità può, dunque, giungere solo dopo la morte? I dolori e le sofferenze che patiamo in vita sono solo una prova a cui ci sottopongono gli dei per testare la nostra forza di volontà, come sosteneva Seneca?

Non è possibile: la vita è un dono, ricevuto dai nostri genitori e, per chi crede, dall’amore di qualcuno di ben più grande di noi. Siamo uomini: abbiamo bisogno almeno di questa certezza. Pertanto, anche i brevi momenti di felicità che la vita ci regala devono essere considerati alla stregua di un gioiello prezioso, una perla che nasce, luminosa, nell’oscurità dai granelli della sabbia del mare.

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