Il sex work è una rivoluzione etica

Due coinquiline ed un amico, tutti istruiti e tuttora studiano, impegnati in quella che oggi sembra essere una rivoluzione etica.

“Il corpo per pagarmi l’università”, queste parole, pronunciate con insolita leggerezza e minuzioso calcolo rispecchiano l’ideale portato avanti dalla ventenne che si rifiuta di definirsi prostituta.

In una società che si auspica di ampie vedute anche l’idea di vendere il proprio corpo si sta rimodellando, ma con particolari attenzioni.

A loro dire infatti ci sarebbe prostituzione e sex working, due ambienti totalmente differenti. Il primo purtroppo lo conosciamo già: papponi e sfruttamento, costrizioni e minacce; il sex working si dichiara invece una vera e propria espressione di sé, ma anche un lavoro libero dettato dalla volontà del lavoratore in primis, che decide a chi affidare la sua presenza in diverse occasioni.

L’approccio

Una delle parti essenziali è l’incontro e l’organizzazione di questo, che avviene tramite app di incontri. Come stabilito, però, chi parla di denaro nelle conversazioni viene bannato, quindi è necessario spostarsi su chat private per approfondimenti di carattere monetario.

Il segreto sono i clienti fissi, persone “fidate” che garantiscono alla studentessa un guadagno di circa 6000 euro al mese, permettendole di raggiungere il suo obbiettivo.

Prendere quindi in considerazione di mettere in gioco la bellezza non è così strano.

Soprattutto se ciò è motivato dal voler vivere meglio.

È doveroso precisare infine che la prestazione sessuale non è il solo prodotto richiesto, spesso persone cercano compagnia, e altre finte relazioni.

Quindi mi chiedo: è così ingiusto essere padroni del proprio corpo e concedersi a chi si desidera, se il tutto è alieno da ogni tipo di sfruttamento?