#ShareTheStory/Il Paese della Pioggia

di Alberto Zali

– Si apre oggi ShareTheStory, la nuova rubrica di Sharing che consente a tutti coloro che hanno una storia o un racconto nel cassetto di pubblicarlo direttamente sul nostro sito. Per la prima puntata di ShareTheStory, vi proponiamo la lettura del prologo del Paese della Pioggia, libro inedito scritto da Alberto Zali. Non dimenticate di mandarci anche le vostre storie. Buona lettura!

Prologo

Fuori piove. Qui ha sempre piovuto e sempre pioverà. Ormai ci ho fatto l’abitudine: il ticchettio delle gocce che incessanti sbattono sulla grondaia, il rumore degli stivali dei passanti che incontrano enormi pozzanghere di fango, i vetri rigati da questa monotonia. Le nuvole coprono un cielo triste, cupo o con qualsiasi altra parola incolore lo si voglia definire. Anche in casa piove. Le doghe in legno delle pareti non sono sovrapposte bene. Ma qui tutto, la stessa vita, sembra non avere un senso. Non che mi lamenti, quello no, per carità! A me piace questa squallida realtà in cui sono capitato. Beh sai, quando ci nasci in un posto, bello o brutto che sia, finisci per sentirlo come casa tua. E la pioggia tiene fresco, e poi non dobbiamo preoccuparci di bagnare le piante, né tantomeno di lavare le strade.

Il nonno dice che un giorno anche noi potremo vedere il sole. Da quando gli ho sentito dire quella parola, ‘sole’ s’intende, non ho smesso di porgli e di pormi domande. Mi fido molto di lui, ha una folta barba bianca che trasmette un non so che di autorevolezza. E i suoi occhi, azzurri come la volta celeste, sono sempre lì a raccontare vicende appartenenti ad un lontanto passato che tutti sembrano aver dimenticato. Nessuno in paese sa dirmi di preciso cosa sia o come sia fatto il sole, molti neppure credono che esista. E probabilmente neppure io ci credo. E poi, chi ha bisogno del sole? C’é la pioggia a tenermi compagnia a tutte le ore del giorno, cosa mi manca? Eppure il nonno quando ne parla é solito sorridere come poche altre volte. I suoi occhi si illuminano di una luce strana, di un qualcosa che risplende dal profondo, attraverso le fibre del suo corpo, fino ad arrivare in superficie. Lui questa luce la chiama speranza. Lui chiama speranza il sole e sole la speranza. Sono arrivato alla conclusione che siano la stessa cosa, sì, due sinonimi!

Vorrei proprio vederlo, prima o poi, questo sole. Ci spero. Eh sì, sperare é un verbo, ma allora qual é il corrispondente verbo per il suo sinonimo? Solo? No, non mi piace proprio per niente. Se il sole arrivasse anche qui da noi, non spererei proprio di vederlo ‘solo’. Meglio in compagnia, mi ripeto, altrimenti con chi potrei condividere la meraviglia della mia scoperta?

Ora cancello questi pensieri sciocchi e da sognatore, mi avvicino alla finestra con la mia tazza di latte, che nel frattempo, ahimè, si é raffreddato. Vedo riflesso il mio volto. I miei occhi sono molto diversi da quelli del nonno. Non é per il colore marrone scuro, che devo aver preso sicuramente dal ramo paterno, ma c’é qualcosa che lui ha e che a me manca. I suoi occhi ardono di un fuoco che il trascorrere degli anni non é riuscito a spegnere. E li invidio, poiché per essere così caldi, devono aver visto paesaggi indimenticabili, vissuto avventure in luoghi che nessuno potrebbe immaginare.

Fra un sorso e l’altro osservo fuori, attraverso le inferriate, i bambini che giocano tristi tirando quattro calci ad un pallone zuppo d’acqua che non ne vuole sapere di rimbalzare. E mi domando se il sole possa essere un pallone che rimbalzi a dovere.