Van Gogh/ le follie della vita

Quest’oggi ci avventuriamo con un vertiginoso balzo all’indietro nel tempo nella vita di uno dei più celebri geni del patrimonio artistico del 1800: Van Gogh. Tra la follia di una visione pura, il mistico del colore, l’apparente felicità intellettuale raggiunta attraverso l’alienazione dalla società e la solitudine assoluta, dipinse i capolavori dell’arte contemporanea, dedicando loro quasi tutta la sua vita. “Nel mio lavoro ci rischio la vita, e la mia ragione vi si è consumata a metà” scrisse nella sua ultima lettera al fratello Theo.

Le radici della follia

Sin dalle prime lettere Van Gogh affermò di voler soffrire per l’arte e, nonostante ciò possa essere interpretato come un segno di pazzia – infatti molti sono soliti ad etichettarlo come “folle” – bisogna rammentare la sua storia amara come l’assenzio. Sin da bambino andò incontro a diversi traumi, basti pensare al fatto che porta lo stesso nome del fratello nato morto un anno prima la sua nascita; si potrebbe dunque dire che gli toccò prendere confidenza con la morte prima ancora di conoscere la vita. Certamente la fede in Dio in questo artista, a differenza del padre, che per giunta provò quasi ad imporla lungo tutto l’arco della sua vita, non fu poi così salda, tanto che raggiunse una disperata crisi religiosa. Nemmeno il confronto costante con il fratello Theo, che diversamente da lui era un uomo realizzato, bello e ordinato, fu di grande aiuto, anche se rappresentò una colonna portante della sua vita sia economicamente che psicologicamente parlando.

Un magnifico caso clinico

Influirono nella sua condizione psicologica anche le numerose delusioni amorose che pare abbiano dato via ad una tendenza malinconica e nevrotica e non solo, anche un complesso di inferiorità nei confronti dei suoi contemporanei. Fu l’inizio di una depressione che gravò anche sulla vendita delle sue opere, motivo per cui ebbe spesso bisogno del sostegno del fratello. Van Gogh rappresenta tutt’ora un magnifico caso clinico tanto che è stato analizzato da diversi psicoanalisti e psichiatri: diversi sostengono che fosse schizofrenico, altri che fosse epilettico ma vengono diagnosticate a lui anche malattie come la demenza, la psicopatia, la psicosi da esaurimento, persino la febbre gialla per giustificare il suo ingente uso del giallo. Nel 1922 il filosofo esistenzialista  e psichiatra Karl Jaspers in un suo saggio scrisse che Van Gogh soffriva soprattutto di una sensibilità esasperata e arrivò a ipotizzare che la malattia avesse aiutato il genio a rivelarsi. Sempre a proposito di pazzia e di genio, proprio mentre Van Gogh era legato ad un letto in seguito al taglio del lobo dell’orecchio, a poche centinaia di chilometri il celebre Friedrich Nietzsche abbracciò un cavallo e venne posta a lui la stessa etichetta. Entrambi erano soli, come spesso accade per le creature sensibili che vivono tra le persone “sane”. La differenza tra due sta nel fatto che Van Gogh volle riprodurre la natura così come lui la vedeva,senza  filosofia, trasmettendo il dolore vero, non a caso parla di una sorta di nausea dell’esistenza, un malessere interiore, un male di vivere di Montale. Ed è proprio questo malessere a portare l’artista a cercare sostegno tra gli impressionisti di Parigi, in un bar, con un bicchiere d’assenzio sul tavolo.

L’assenzio dei tempi

L’assenzio è un liquore di elevata gradazione alcolica che ai tempi superava già i 70 gradi, le sue proprietà erano già note sin dal 1600 a.c, secondo Plinio il Vecchio e Plutarco si usava come insetticida nei campi mentre nelle Sacre scritture simboleggia i dolori della vita. In Francia divenne particolarmente richiesto proprio negli anni in cui Van Gogh si trovava a Parigi, tra il 1880 e il 1890, poi divenne una bevanda proibita dal 1915,quando si scoprì che conteneva neurotossine che portavano ad uno stato di euforia, allucinazioni,convulsioni e persino il delirio.

Tra un manicomio e l’altro

Nell’1888 prese un treno per Arles,dove vi è il cosiddetto “spazio Van Gogh”, l’ex ospedale dove venne rinchiuso e considerato pazzo. Paul Gauguin, amico e pittore, gli offrì qui assistenza fino al momento della famosa lite. Contemporaneamente il fratello Theo si fidanzò,così Van Gogh si ritrovò di nuovo faccia a faccia col suo spleen, seguono dunque il taglio dell’orecchio, la cura della ferita, il rilascio dall’ospedale  e, a causa dell’insonnia e delle allucinazioni, il seguente spostamento al manicomio di Saint-Remy. Qui la realtà sembra un falso, tanta è la forza della pittura di Van Gogh. Fu qui che dipinse uno dei più angosciosi tra i quadri  “La ronda dei carcerati” raffigurante i “pazzi” del manicomio durante l’ora d’aria,tuttavia è tra i pazzi che trovò una solidarietà e una sopportazione vicendevole mia vista prima.

A seguire il più famoso dei quadri, “La notte stellata”, in cui il cielo è le stelle diventano una realtà indecifrabile,un flusso indistinto,una processione regolata dal movimento. In una delle sue ultime lettere, questa volta alla sorella, consigliò di leggere una delle sue ultime scoperte ossia Walt Whitman, in particolare spicca un verso della sua raccolta Leaves of Grass: “Vi direi dello struggimento che ho, quella pulsazione delle mie notti e dei miei giorni. Ma non posso. Io sono colui che ha un angoscioso desiderio d’amore”. Ed è in questi versi , che sembrano raccontare proprio la notte stellata, che c’è il Vincent di cui abbiamo parlato finora. Dopo questo quadro tentò il suicidio ma fallì e venne curato come epilettico.

La fine…

La sua “follia”, la sua “sensibilità”, chiamatela come volete chiamarla, è una follia dettata dal timore di rimanere solo, dal timore di non poter più esprimere il proprio dolore, il proprio malessere, e in questi ultimi mesi della sua vita, in preda al panico e al disgusto degli altri, di se, delle gioie come dei dolori, Van Gogh ingoiò i tubetti di colore ed accorgendosi che resistere è davvero troppo, diventò davvero pazzo, non desiderando altro che la morte e meditando un’altra volta il suicidio, tanto che disse: “Niente sarebbe stato più piacevole per me che il non svegliarmi più”; e ancora: Mi sento rovinato dalla noia e dal dolore”. Fu così che, in preda alla malattia, alla pazzia, alla depressione e al male di vivere, che si sparò, ma fu uno sparo indeciso e debole, proprio sotto le costole; qualche ora dopo arrivarono i soccorsi ma morì nella notte, dopo essere svenuto.

…o l’inizio?

Si potrebbe dire che Van Gogh abbia smesso di vivere nell’istante in cui il suo cuore ha smesso di battere. Tuttavia se si pensasse al fatto che la sua fama iniziò a manifestarsi solo a partire da decennio successivo alla sua morte si potrebbe dire che Van Gogh in realtà sia ancora vivo. Presente dai libri di testo delle elementari e  protagonista di diversi film, come “ Loving Vincent”, ma anche di moltissime mostre d ‘arte, come la mostra multimediale dell’anno scorso al porto antico di Genova, Van Gogh rimarrà per sempre vivo nelle memorie di ognuno di noi.

Van Gogh/ le follie della vita

Wylab