OSCAR 2020/Vince la critica sociale di Bong Joon-ho

Quest’anno alla 92esima premiazione degli Oscar ha vinto l’ambita statuetta per Miglior Film – e non solo quella – Parasite, il film sud coreano diretto, scritto e prodotto da Bong Joon-ho, battendo il favorito 1917, che era stato dato come vincitore viste le precedenti scelte dell’Academy.

Questa sua vittoria si può dire che abbia fatto la storia, si tratta di fatti della prima volta in cui un film non di produzione americana e non in lingua inglese riesce ad ottenere questo riconoscimento – nonostante si possa ribattere che già The Artist fosse riuscito in tale impresa, trattandosi di un film di produzione francese, va tenuto conto però del fatto che sia un film muto e che la storia sia ambientata e tratti dell’industria cinematografica americana e di Hollywood.
Parasite è dunque riuscito in ciò a cui Roma di Alfonso Cuarón era andato vicino l’anno scorso.

La storia narra della famiglia Kim, famiglia povera di Seoul che grazie a un amico del figlio Ki-Woo, riesce pian piano ad inserirsi all’interno della vita della ricca famiglia dei Park, con inaspettate conseguenze.

Il termine “parasite” che in italiano vuol dire “parassita” indica un essere che vive alle spese di un altro.
Chi sono però i veri parassiti in questo film? I Kim che cercano di attingere alle risorse dei Park o sono i Park che sfruttano il loro potere sui Kim?

Bong Joon-ho ci presenta una crudele e feroce critica sociale. Ci mostra il divario fra le classi sociali, fra la povertà e la ricchezza.
Tutto è incredibilmente vero, ci rendiamo conto che per quanto ci sembri lontana la Corea ha le stesse dinamiche sociali di un paese occidentale.
Alla fine però non importa di quale “casta” tu faccia parte non potrai cambiare la tua condizione e sarà radicato in te come in ogni essere umano un’innata meschinità.

Quando gli eventi del film iniziano a prendere una piega inaspettata ci si rende conto che c’è chi sta ancora peggio.
Ci troviamo all’interno di una guerra tra poveri, tra parassiti, chi vuole emanciparsi e chi ringrazia per il poco che ha.
Al vertice di questa piramide sociale ci sono solo i ricchi e i privilegiati che, nonostante ciò, vengono colpiti ugualmente dall’insoddisfazione e dalla tensione che si è venuta a creare fra i poveri.

Per i Park questi poveri sono solo dei fantasmi, degli emarginati che non potranno intaccare la loro posizione, che non potranno mai mischiarsi a loro perché hanno impregnato l’odore della povertà.

Ci troviamo all’interno di un teatro dell’inganno in cui burattini e burattinai, vittime e carnefici continuano a scambiarsi il ruolo.
I Kim che pensavano di essere superiori ai Park e di riuscire ad ingannarli, perderanno la loro dignità e la loro libertà, si ritroveranno intrappolati dalla loro stessa truffa, in un mondo che per quanto possano provare a raggiungere, resterà sempre e solo un lontano miraggio.

In questo film non c’è spazio per i buoni sentimenti, anzi ci si ritrova all’interno di un vortice che ti tira sempre più in basso.

Si tratta di un film che tramite una tecnica impeccabile che mischia diversi registri stilistici, riesce a comunicarci tutto il dramma di una lotta e del divario sociale da cui siamo avvelenati.