ESTERI/Un caos chiamato Trump

“Non succede, ma se succede” è una frase usata per indicare un evento che non dovrebbe accadere, ma di cui si ha comunque il timore si verifichi, preparandoci  alla sua possibile realizzazione.

Quel “ma se” è stato il dubbio di milioni di Americani – e di altrettante persone nel resto del mondo – il 4 novembre scorso, quando i dati, aggiornati in tempo reale, delle elezioni presidenziali USA, mostravano un netto vantaggio per Donald Trump.

È così che il 20 gennaio scorso, Trump, ha prestato giuramento per il suo secondo mandato a Capitol Hill, inaugurando la sua presidenza con diverse nuove proposte.

Politica estera

Il Risiko è in gioco complesso, che richiede strategia, ma anche fortuna. Per vincere si devono raggiungere i propri obiettivi segreti disponendo le proprie truppe. Trump, in questo momento, sta decidendo dove posizionare i suoi – metaforici – carri armati per raggiungere i suoi obiettivi, che poi, forse, tanto segreti non sono.

Oltre a voler “rinominare” il Golfo del Messico, rendere il Canada il cinquantunesimo stato e prendere il controllo del canale di Panama, le energie di Trump sono dirette verso un territorio ben preciso: la Groenlandia.

L’ isola è un territorio autonomo appartenente alla Danimarca, conta appena cinquantaseimila abitanti e la sua calotta polare copre l’ 80% della superficie.

L’ interesse di Trump non è di certo rivolto all’ immensa distesa di ghiaccio, ma anzi, al suo graduale scioglimento: la Groenlandia è infatti un punto strategico per le rotte commerciali artiche, favorite dallo scioglimento dei ghiacciai.

L’ artico sta infatti diventando il nuovo terreno di contesa tra le potenze mondiali – la Russia sta riaprendo basi militari e la Cina sta infittendo i commerci in quelle zone.

Questo territorio, inoltre, contiene giacimenti di gas ed è un importante avamposto militare. La Groenlandia potrebbe diventare quindi un importante investimento per Trump.

Il paese è inoltre spinto da un forte desiderio di indipendenza, che potrebbe condurre a un referendum nei prossimi mesi, in modo da poter trattare in modo autonomo eventuali accordi con gli USA.

Ius Soli

Il quattordicesimo emendamento della Costituzione Americana sancisce che «tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e sottoposte alla relativa giurisdizione sono cittadine degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono. Nessuno Stato produrrà o applicherà una qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti».

Ciò significa che se qualcuno nasce in territorio USA sarà cittadino americano, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. Questo principio è chiamato Ius Solis ed è in vigore dal 9 luglio 1868. Centocinquant’anni dopo Donald Trump ha deciso di cambiarlo. Il 20 gennaio è avvenuta, tra il resto, anche la firma di un decreto per la sospensione di questo «ridicolo» principio.

Questo provvedimento è stato contestato fin da subito da diversi stati di orientamento democratico, per poi essere definitivamente bloccato il 23 gennaio.

In un’udienza a Seattle un giudice federale ha infatti decretato “incostituzionale” l’ordine esecutivo.

Naturalmente l’ amministrazione Trump ha dichiarato un imminente ricorso poiché questo decreto “interpreta correttamente il quattordicesimo emendamento.

Immigrazione

Quando si parla di Donald Trump è impossibile non nominare anche la sua politica sull’immigrazione: dopo lo slogan d’effetto “Make America Great Again” è ora  il turno di “Remain in Mexico”

Questa misura, utilizzata nel mandato precedente, aveva reso più rigidi i criteri di ammissione negli USA, imponendo inoltre ai richiedenti asilo, di rimanere in Messico mentre la loro domanda veniva letta ed esaminata.

La campagna elettorale 2024 proponeva di cancellare la possibilità di fare richiesta di asilo e rinforzare le forze dell’ordine al confine e le strutture di detenzione per gli immigrati.  L’altro punto di forza di Trump erano le cosiddette espulsioni rapide, con le quali è possibile espellere degli immigrati senza che compaiano in tribunale.

Questi ordinamenti sono però facilmente contestabili e difficilmente attuabili: sono necessari molti destinati all’ ICE ed è improbabile che il Congresso li conceda, in seguito ad altre ingenti spese sempre nel campo dell’ immigrazione.

In questo caso l’ opinione pubblica gioca un ruolo curioso: secondo un recente sondaggio del New York Times la maggior parte degli americani, pur non essendo d’accordo ad avere Donald Trump come presidente, sono invece propensi ad attuare misure più drastiche (come quelle nella sua politica) per risolvere problemi urgenti.

Cosa dovrà allora aspettarsi il mondo in questi prossimi quattro anni di mandato?

Di Giulia Gazzale