“TRAP”/Musica e arresti scalano le classifiche

Da dove deriva il termine “trap”?

Il genere musicale “trap” nacque negli Stati Uniti negli anni ‘90 come sottocategoria del più affermato “rap”. Inizialmente fenomeno di nicchia, crebbe sempre di più, fino alla definitiva commercializzazione nei primi anni 2000 (2010). Dopo l’America e la Francia, la “trap” giunse inevitabilmente anche in Italia, dove, agli esordi, vide nel massimo esponente Guè Pequeno, a seguire Sfera Ebbasta. 

Si possono facilmente desumere le tematiche trattate nei testi, soldi e droga, dal nome stesso del genere; infatti, il termine “trap” si rifà alle “trap house”, abitazioni disabitate in cui prendevano campo produzione e vendita di droghe.

 

Il fenomeno italiano 

L’epicentro di diffusione del nuovo genere musicale in Italia è la Lombardia, in città come Milano, Bergamo, Como e Lecco.

Indubbiamente la musica ha una forte influenza sui giovani, in ambiti quali linguaggio, moda e soprattutto tendenze; l’imitazione delle novità scoppiettanti è all’ordine del giorno. Ma la “trap” non si è limitata alle auricolari dei ragazzi, anzi, si è trasformata lentamente in un fenomeno sociale, che, oltre ai maggiori centri, coinvolge tutto il paese.

Zone e quartieri della stessa città, così come città diverse tra loro, entrano in conflitto ideologico. Dopo lo spunto dato da quelle più attive e conosciute, si verifica sempre più frequentemente la formazione di “gang”,  alleanze tra ragazzi, che spesso, scontrandosi, sorpassano la dimensione puramente ideologica, sfociando nella criminalità. A dimostrare questo sono proprio i recenti arresti e coinvolgimenti in risse e azioni criminali di esponenti che dominano la scena trap italiana, come: Baby Gang, Simba La Rue, Baby Touchè.

 

La società: il backstage

Determinati episodi purtroppo contribuiscono ad infangare ulteriormente la reputazione di questo stile. Infatti, un vasto panorama di critici e l’opinione pubblica lo ritengono già “diseducativo”, proprio per i contenuti diffusi, accusando ciò contro cui è facile e conveniente schierarsi, non necessariamente sbagliando.

Ma per chi è emotivamente e musicalmente lontano da questo mondo è raro e complicato comprendere questo: la trap è sfogo fine a sé stesso, è denuncia, è un concentrato di emozioni represse, emerse e catturate da una strumentazione che detta le regole del gioco.

Quindi sarebbe interessante analizzare i contenuti della “trap” in chiave sociologica, piuttosto che in modo superficiale. Questo fenomeno è solamente la “punta dell’iceberg” della società odierna, la parte più visibile e criticabile, tanto discussa al posto delle cause prime del problema, in profondità. In questa realtà, “l’avere” schiaccia completamente “l’essere” e la ricchezza è il fine che giustifica il mezzo. 

La denuncia della musica

Quando i ragazzi, a così giovane età, compiono crimini, talvolta molto gravi, è inevitabile porsi degli interrogativi sulle cause che li spingono ad agire. 

Lo stereotipo di passato del trapper viene condiviso e idealizzato dalla maggior parte degli esponenti del genere: ragazzo di periferia, cresciuto in estremo disagio economico, familiare ed esistenziale. Il trapper cresce per la strada e ne impara le dinamiche: potere, rispetto, soldi. È proprio quando un ragazzo non ha niente, che inizia a rischiare tutto, per ottenere un riscontro. La voglia di riscatto è l’unico fattore che spinge ad reagire.

Quindi il trapper vive, combatte, consapevolmente o meno, e canta la sua musica. Musica come forza di ribellione, come un rifugio alle risorse mancate e all’abbandono e come una via verso il successo tanto bramato.