VITTIME DI STATO/Quando c’è da scegliere tra popolo ed élite

Sono numerosissimi i casi di cronaca italiana che ci presentano domande che necessitano ancora di una risposta,  per la quale molte persone continuano a impegnarsi per cercare una verità e dare giustizia alle vittime, ai familiari, ed eventualmente, a coloro che sono stati accusati ingiustamente, anche dopo numerosi anni.

Stiamo parlando dei cosiddetti ‘Morti di Stato’. Si tratta di casi di violenza da parte delle forze dell’ordine, chi indossava la propria divisa con onore e chi, oggi, provoca disprezzo da parte del popolo.

Perché questo?

Sono numerosi i casi di omicidi da parte dei ‘più grandi’ nel corso di manifestazioni, scioperi, e, quello di cui andremo a parlare maggiormente oggi, morti per volontà dello Stato.

Ragazzi con problemi di tossicodipendenza e problemi sociali che, uno volta entrati delle mani dello Stato, non sono più usciti vivi.

Uno dei casi più conosciuti e ancora aperto, è l’omicidio del geometra Stefano Cucchi, morto a Roma il 22 ottobre del 2009, mentre  era sottoposto a custodia cautelare per spaccio di droga.           

Dopo accurate indagini e testimonianze fornite dai carcerati, venne constatato che le cause della morte furono i frequenti episodi di violenza fisica inferta al giovane durante la permanenza in cella, che portarono il geometra alla morte a una settimana dal suo arresto presso l’ospedale Pertini di Roma. Appena un mese fa venne raggiunta la sentenza di condanna a 12 anni di carcere ai due carabinieri che hanno risposto all’accusa di omicidio preterintenzionale: Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Nelle ultime ore tuttavia, sono rinvenuti aggiornamenti sull’inchiesta per depistaggio di informazioni degli atti legali, in particolare delle testimonianze a proposito della scomparsa di informazioni presenti negli atti legali sui fatti accaduti la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 (notte durante la quale venne arrestato Cucchi), per la quale ne conseguì il rinvio a giudizio di 8 membri dell’arma dei carabinieri per falso ideologico, calunnia, favoreggiamento e omessa denuncia: Francesco Cavallo, Luciano Soligo, Massimiliano Colombo Labriola e Francesco Di Sano, e il generale Alessandro Casarsa. Tra questi citati due in particolare hanno deciso di farsi avanti e di fornire maggiori dettagli sulla circostanza; Labriola e Di Sano infatti hanno chiesto di costituirsi come parte civile, contro due superiori, Francesco Cavallo e Luciano Soligo, dai quali sostengono di aver ricevuto disposizioni per modificare gli atti.                                                           I militari sostengono anche di non aver riferito queste informazioni precedentemente poiché all’epoca non capivano il motivo di quelle insistenze per eseguire questo preciso ordine, ai quali hanno dovuto sottostare.

Un altro caso più recente ma meno conosciuto, è quello di Maya.

Una ragazza di 19 anni che una sera d’estate del 2017 era uscita con gli amici e, mentre tornava a casa assiste ad un controllo di polizia su due ragazzi.

Curiosa, decise di avvicinarsi. È bastato così poco perché la polizia decidesse di portarla in commissariato. Durante il viaggio, Maya, subisce moltissime violenze sia fisiche che verbali. Non solo, arrivata in commissariato le viene tirato un pugno nell’occhio.

Viene rilasciata con un verbale molto poco chiaro in cui le veniva contestato l’oltraggio e il possesso di alcuni chiodini da muro nel marsupio.

Il giorno dopo Maya decise di denunciare questo gesto da parte delle forze dell’ordine, tanto che moltissime persone erano dalla sua parte e si presentarono in piazza per sostenerla.

Durante la notte, Maya, presa dal panico, decise di mandare dei messaggi dal cellulare ad amici e familiari per avvertirli della situazione.

Questi messaggi di panico sarebbero, per il pubblico ministero, materiale necessario ai fini del processo.

Stefano Cucchi, Aldo Bianzino, Riccardo Rasman, Aziz Amiri, Fede Aldrovandi, Marcello Lonzi, Gabriele Sandri, Riccardo Magherini, Maya, Giuseppe Uva, Paolo Scaroni,Stefano Gugliotta, Luca Morneghini, Michele Ferrulli,Tommaso De Michiel.

Tutte storie vere con molti tratti in comune. Specialmente uno. Morti nella stessa maniera.

Persone a cui è stata tolta la vita ingiustamente perché avevano avuto problemi precedentemente con droga, problemi sociali o semplicemente perché erano deboli e in difficoltà, persone che lo Stato doveva cercare di aiutare e invece ha fatto il contrario. Ma non è tutto qui: carabinieri e poliziotti non hanno pagato questi terribili gesti.

Giustizia per questa povera gente non è stata fatta.

Giustizia ai familiari non è stata fatta.

Giustizia al popolo non è stata fatta.

Di giustizia si muore.

Noi aspettiamo ancora una verità e non ci fermeremo mai finché non verrà fuori.

“Quando tu sei nelle mani dello Stato, esso ha la responsabilità di quello che ti succede. Tu devi essere custodito dallo Stato, che significa che non solo non devi scappare, ma anche che non ti deve succedere niente di male.

Quando una persona muore nelle mani dello Stato, vuol dire che c’è un problema.”

-Carlo Lucarelli