I Gilet Gialli

In questo articolo tratterò un fatto di cronaca risalente a pochi mesi fa, che riguarda la Francia da vicino: le manifestazioni dei Giubbotti Gialli.

Chi sono, e perché si chiamano così?

I Giubbotti Gialli, o Les gilets jaunes in lingua francese, sono un gruppo di manifestanti che già all’inizio dell’estate del 2018 avevano creato una mobilitazione in rete contro le tasse sul carburante. In seguito ad una raccolta firme, è nato un vero e proprio movimento composto da lavoratori che invade le piazze ed organizza blocchi stradali in tutta la Francia. L’obbiettivo: mettere pressione al Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, per rievocare il Piano Antismog che sta creando scompiglio in tutta la nazione. Purtroppo queste manifestazioni hanno generato scontri diretti con la polizia, causando anche una vittima, più di duecento feriti ed circa trecento arresti.

Ogni grande rivolta o movimento di protesta ha avuto e continua ad avere tra i suoi simboli un capo d’abbigliamento distintivo: i vestiti bianchi delle suffragette, le scarpe rosse contro il femminicidio, gli abiti neri contro la violenza sulle donne o ancora i cappelli rosa contro il maschilismo di Trump.
Quello dei Giubbotti Gialli è, per l’appunto, un gilet giallo.
Questo abito è stato scelto come simbolo del movimento per diverse ragioni: spiccano nelle riprese delle telecamere, irrompono nel paesaggio e mirano a spezzare la continuità degli atti di un governo che non soddisfa richieste o non onora impegni.

Indossare quel capo di vestiario è oggi simbolo di uno status, di una condizione. L’elemento simbolico del gilet giallo arriva proprio dalla strada, un luogo ricco di situazioni di pericolo. Secondo il codice della strada, infatti, ogni conducente è obbligato ad avere un gilet giallo catarifrangente nella propria auto, da indossare in caso di incidente. Il messaggio che i manifestanti vogliono trasmettere indossando ora quei giubbotti gialli per le strade, è soprattutto di giustizia a livello sociale, economico, ma anche una richiesta di equità e tagli alle tasse. A tale proposito hanno anche redatto un elenco di istanze e priorità che dovrebbero essere applicate per riportare armonia e unità in una Francia percepita soprattutto come divisa in due: da una lato le metropoli ed i cittadini che fanno un uso ridotto dei mezzi di trasporto, dall’altro le periferie, vissute da persone che hanno maggiore necessità di usare mezzi di trasporto ogni giorno e di conseguenza risentono maggiormente dell’aumento di tasse su benzina, gas e gasolio imposto dal loro presidente.

Visto lo “smodato” utilizzo di automobili, camion, autobus e treni ad opera dei lavoratori francesi, pare sia stato messo in discussione il modo di vivere delle classi medie, con la conclusione che esse danneggino l’ambiente. In aggiunta, sono anche comparse delle nuove norme di “controllo tecnico” sulle automobili, che impediscono sempre di più alle persone di circolare per le strade con macchine di seconda mano.

L’avvento dei Gilet Gialli è stato sicuramente l’evento catalizzatore di tutti gli sconvolgimenti in Francia degli ultimi anni, e si parla di quarant’anni di liberalismo culturale ed adattamento economico forzato voluto dalle élites, al punto che il signor Rioufol, saggista conservatore autore di La Guerre civile qui vient, in un articolo del sito www.tempi.it paragona i Giubbotti Gialli ai Pellerossa: «come loro al tempo che fu si battono contro uno Stato rullo compressore per il quale l’antico popolo è un ostacolo alla “trasformazione” del paese. Ora, questi francesi indesiderabili non sono candidati al suicidio. I ribelli non hanno alcuna intenzione di restare nelle loro riserve indiane ad ammuffire: queste unità residenziali della Francia periferica, dove i parcheggi dei supermercati e le rotonde stradali servono oggi da punti di concentrazione dei manifestanti. L’insurrezione contro le tasse sul carburante unisce una gran parte della classe media».

Mentre in Italia le proteste dei Gilet Gialli sono interpretate come una semplice reazione degli utenti di auto, camion, autobus ecc, che non vogliono pagare la transizione all’economia decarbonizzata, e sostengono fermamente che non si possa tassare qualcosa in un contesto di mondializzazione dei trasporti, in Francia si pensa che questo possa essere l’inzio di una nuova grande rivolta popolare o, come scrive Alessandro Devecchio per Le Figaro «più che una semplice ribellione contadina è un nuovo sintomo della rivolta dei popoli contro la società mondializzata. Una rivolta che attraversa tutte le democrazie occidentali».