Spegnere l’arte per salvare il pianeta

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di Rachele Alvarado

-Un’ora, sessanta minuti, tremilaseicento secondi: in tutto il mondo si sono spenti grattacieli, piazze e monumenti. Questo blackout contemporaneo e volontario dei simboli della nostra società rientra nel progetto Earth Hour (l’Ora della Terra), ed è nato a Sidney nel 2007 come tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica verso lo sfruttamento indiscriminato delle risorse ambientali. L’ora di buio quest’anno si è svolta il 19 marzo, tra le 20.30 e le 21.30 di ciascun fuso orario, coinvolgendo nel complesso oltre 1,23 milioni di persone. Il semplice gesto di spegnere le luci per un’ora ha raggiunto quest’anno il record di adesioni, arrivando a unire nell’iniziativa addirittura 178 paesi. Monumenti come la Tour Eiffel, il Big Ben e l’Empire State Building si sono spenti, in segno di rispetto verso la terra di cui siamo, in fondo, soltanto ospiti. Anche l’Italia non è stata da meno, con oltre 400 illustri spegnimenti, tra cui il Colosseo e la Fontana di Trevi, e con testimonial dal calibro di Piero Angela, Marco Mengoni e Fedez. Ma un’unica ora di risparmio energetico può realmente cambiare le cose? L’ora della terra non è soltanto una manifestazione: rappresenta invece l’unisona volontà di agire che accomuna i cittadini di tutto il mondo. È il terzo mese di seguito che infrangiamo il record di mese più caldo della storia umana, e i fenomeni atmosferici distruttivi sono andati rafforzandosi a causa delle massicce immissioni di gas serra nell’atmosfera degli ultimi anni. Se l’opinione pubblica non si convince che risparmiare energia non è solo una moda chic, ma una drammatica necessità, i prossimi 30 anni potrebbero essere radicalmente diversi da come ce li immaginiamo. Se non iniziamo a curarci del nostro pianeta, la nostra stessa sopravvivenza come razza umana sarà messa in discussione.

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