Γίγνομαι δυνατός/la fuga vera è quella da se stessi

La fuga vera è quella da se stessi, commento del mio racconto «Γίγνομαι δυνατός»

Il mito e le divinità sono nati come tentativo dell’uomo di dare una risposta ai punti di domanda della sua vita: perché nasciamo e, se nasciamo, perché dobbiamo vivere una vita dove a dominare è la sofferenza? Lo stesso Edipo a Colono diceva che forse era meglio non nascere e,che se si nasceva ,allora era meglio morire .L’uomo in questo interrogarsi non perviene a una risposta definitiva ma comincia a dare forma alle sue paure, ai suoi desideri, alle sue angosce, plasmando entità che, nel mito, lo salvavano da un destino funesto o lo condannavano per una colpa tempo prima commessa. In entrambi i casi l’uomo entra in una dinamica per cui non è più lui il padrone della sua vita, ma le divinità a cui si affida. Ciò che io ho voluto esprimere nelle pagine del mio breve racconto è proprio questo: gli dei, in quanto proiezioni dei desideri o delle paure del personaggio, sono qualcosa che in ogni caso ingabbia, perché influenza il suo agire. Tali divinità sono solo la manifestazione di una nostra condizione interiore e quindi non sono reali, se non in relazione a una condizione psicologica: è il caso dell’Ifigenia protagonista del racconto, che teme di tornare a casa per paura di venire in contatto con Artemide , colei dalla quale scappava. Ma il vero motivo era che, con il suo ritorno, avrebbe dovuto fare i conti con la sua coscienza ,e con l’aver acconsentito a sacrificare tanti stranieri nel tempio in Tauride. Di Artemide ,Ifigenia si libererà solo se si perdonerà, accettando la sua sorte, le sue colpe e le sue angosce: “Nella gabbia non ti ha rinchiusa Artemide, ma te la sei creata tu, quando hai acconsentito a sacrificare tutte quelle persone nel suo tempio in Tauride, quando aspettavi dalla finestra ogni sera tuo padre, consapevole del fatto che non Agamennone comandante, ma l’uomo che dieci anni prima si era voltato per salutare la sua bambina, non sarebbe più tornato…le divinità non sono altro che la rappresentazione concreta delle tue paure più profonde .”~Γίγνομαι δυνατος
Anche nel caso di Oreste, figura centrale dell’Orestea di Euripide, emerge la proiezione del suo disagio interiore nella realtà circostante :attraverso le Erinni ,divinità tonie ,che lo perseguitano dal momento in cui si è macchiato dell’omicidio della madre Clitemnestra. Oreste,pervaso dal senso di colpa ,ha bisogno di una giustificazione e di un processo che lo assolva per liberarsi del peso morale che lo angoscia .Non solo nella mitologia greca antica si presenta tale tematica: anche nella tradizione letteraria più recente, i poeti hanno tentato di dare una risposta alla loro insoddisfazione e ai loro mali, proiettandoli al di fuori di sé, per esempio nella natura. Leopardi, nell’operetta morale Dialogo della Natura e di un Islandese, rappresenta se stesso nei panni di un Islandese che ha girato il mondo per cercare di sfuggire i patimenti che, a suo parere, la Natura provoca .L’uomo rimane sorpreso quando questa gli spiega il suo essere completamente indifferente alla vita degli uomini: “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte“ .L’Islandese fuggiva il suo essere insoddisfatto: prima ha cercato di vivere in solitudine perché forse era la vita associata che, esaltando i valori materiali, non lo rendeva felice; poi ha provato a fuggire dal mondo intero, pensando che, forse, l’universo voleva il suo male. Ma la verità è che il male e l’insoddisfazione erano dentro di lui.
In greco ,l’aggettivo δεινός , può assumere significato positivo o negativo a seconda del contesto. Qualcosa di deinòs è qualcosa di potente e anche di eccezionale. È un aggettivo che si usa per le divinità, che sono al tempo stesso prodigiose, misteriose e temibili.Tale definizione attribuita alle divinità calza a pennello con la concezione sviluppata nel mio racconto ,di divinità come proiezione di un’interiorità ,la nostra interiorità :qualcosa di cui ci stupiamo ma da cui siamo anche spaventati.
Sviluppare una tematica del genere in un breve racconto non è stato facile ,è stata però un’occasione per mettermi alla prova e tra tutti gli argomenti scolastici fatti quello della fuga da se stessi nella letteratura greca era quello che più mi aveva incuriosito. D’altronde penso che il messaggio che i responsabili del nostro progetto editoriale (“Aprire la testa,ripensare orizzonti”)volevano trasmettere fosse l’importanza di dare voce alla nostra fantasia. Ció che ricorderò di questa esperienza di scrittura creativa saranno non tanto i consigli della scrittrice del corso sull’impaginazione ,sulla punteggiatura e sulla forma ;quanto più i segreti maturati negli anni che l’autrice ha deciso di condividere con noi relativi all’esprimere nel modo migliore se stessi, all’elaborare un discorso logico che sia verosimile e che quindi riguardi l’universale (come diceva Aristotele descrivendo la sua poesia nell’opera “Poetica”),ad ascoltare quelle idee che a volte arrivano nella nostra mente ad intermittenza ,senza che noi neanche ce ne accorgiamo,senza che noi neanche le notiamo ,e a dare ad esse una voce. Perchè pare le grandi storie nascano proprio così .

Γίγνομαι δυνατός/la fuga vera è quella da se stessi

Γίγνομαι δυνατός