Γίγνομαι δυνατός

di Matilde Di Chiara

– Versione alternativa della storia di Ifigenia inserita nel contesto dell’Atene contemporanea. Ifigenia,entra nella casa di Costa, nonno greco, che incontrerà la nipote il giorno prima del suo diciottesimo compleanno perché ha per lei una sorpresa, un segreto da mostrarle.

 

 

Atene,16 settembre 2018

Domani compio diciotto anni e domani ha inizio il mio ultimo anno di liceo: il tempo è fuggito via così in fretta, anche se mi sembra ieri quando entravo per la prima volta nella mia odierna classe e lo stupore con cui si entra il primo giorno dei vari anni di scuola non cambia mai, come non cambia l’odore di libri nuovi appena rilegati e di caffè caldo che ti dà il benvenuto ogni mattina. È bello sapere che certe cose, anche se cresci, non si modificano, come colonne che ti guardano crescere, andare per la tua strada ma che restano sempre lì come a dirti “quando ritornerai a casa noi saremo ancora qui per te”. E un po’ così è anche mio nonno. Il suo nome è Costa ed oggi vuole vedermi perché dice avere una sorpresa speciale per me.

Suono il campanello e il nonno mi apre con il viso sporco di farina e il grembiule impregnato di marmellata. Mi spiega che stava tentando di prepararmi una torta per spegnere insieme le candeline e scoppia a ridere con quel suo sorriso, greco al cento per cento, specchio della città in cui vive, Atene, come lui simbolo del passato che si fonde con il moderno e piena di storie da raccontare, così fascinosa. Mio nonno da giovane ha insegnato come docente di lettere antiche all’università della città e ogni volta che lo vado a trovare tira fuori dai suoi cassetti manoscritti, libri dai quali sembrano uscire, per prendere con noi il tea, personaggi mitici sempre avvincenti e curiosi.

Il nonno mi dice di aspettarlo nel suo studio al piano di sotto che deve mostrarmi qualcosa. Così mi incammino e inizio a rovistare tra questa a quella libreria, tra questo e quel baule e noto appoggiata sul televisore una cassetta con su scritto “estate ‘68 γιγνομαι δυνατος”, che in greco significa “nascere forte”. È il titolo del libro pubblicato da mio nonno prima di andare in pensione. In quel momento sento alle mie spalle “Hai scoperto subito il mio piccolo segreto”: è il nonno che si avvicina porgendomi una tazza di latte caldo e miele (il mio preferito).

“Di che si tratta?” gli chiedo.

“Non ho mai mostrato a nessuno queste riprese perché 40 anni fa promisi che le avrei tenute solo per me, ma tu sei la mia nipotina, ormai sei grande e matura e in grado, con l’educazione classica che hai avuto, di farti un’idea e dare una tua interpretazione a quello che sto per farti vedere”.

“Che aspetti nonno?! Premi play, sono curiosa!”

Le riprese sono in bianco e nero e la cinepresa inquadra una finestra verso cui mio nonno lancia ripetutamente dei sassi, passa qualche momento e da lì si affaccia una donna. È alta, dai capelli lunghi e ondulati che, confermando le mie supposizioni, mio nonno dice essere neri come l’ebano e dalla pelle olivastra. Ha il viso leggermente scavato e due occhi che paiono appartenere ad un altro tempo; gli grida “Shhht!! Smettila con quei sassi, romperai la finestra”

E mio nonno continuando a riprenderla: “Scendi, vieni con me a vedere se riusciamo ad entrare al teatro di Erode sull’Acropoli. A quest’ora non c’è ancora nessuno e da lì si vede il tramonto più bello di tutta l’Attica”.

“Sei pazzo?! Se tuo padre si accorge di noi mi licenzierà”.

“Dai Gen! Torneremo prima che inizi il primo turno, i clienti non arriveranno prima delle 19.00”.

“Ho ancora da sistemare i tavoli, da apparecchiare.”

“Si occuperà di tutto la cuoca, ho preso accordi”

“Io …”

“Ora però stai rovinando il filmato” dice ridendo “o scendi o salgo a prenderti”.

“Arrivo” dice lei.

E per un attimo la scena si dissolve.

Ora la telecamera mostra un panorama mozzafiato: posso vedere tutta Atene dall’alto e sento la voce del nonno “Vuoi una mano a salire?” dice a quella donna.

“Grazie, sei sicuro che possiamo venire qui?”

“Si fino alle 20 non c’è mai nessuno, poi oggi è giorno di prove, gli spettacoli sono il sabato.”

Nonno Costa interrompe il filmato e mi spiega che quella giovane stava lavorando per la stagione estiva nell’osteria di famiglia nel quartiere della Plaka, non aveva mai mostrato documenti ma da subito era apparsa volenterosa e così bisognosa di un lavoro che suo padre aveva deciso di darle una possibilità. Poi mi racconta che in quei mesi era nata tra loro una simpatia, ma specifica che dopo quell’estate non l’aveva mai più incontrata: era come sparita nel nulla.

Io non capisco perché lui dia così importanza a questa fanciulla di passaggio ma continuo a guardare le riprese.

La giovane dice: “Non ero mai venuta qui, a mio fratello piacerebbe così tanto”.

“Da dove hai detto che vieni Gen?”

“Dall’estero… sono qui per un’esperienza di crescita personale e per racimolare un po’ di denaro”

Ma dall’estero dove? Parli benissimo il greco.”

“Le mie origini sono greche…così ho dimestichezza con la lingua.”

“E come mai non hai portato tuo fratello con te?”

“Quando ci siamo salutati si trovava in una situazione complicata …forse un giorno ti racconterò. Ora godiamoci il tramonto.”

E il video s’interrompe.

Rifletto su quale sia il senso di queste cassette come regalo per i miei diciotto anni e così mi espongo: “Non capisco…avevo immaginato che la nonna non fosse stata la tua unica fidanzata, ma da questi filmati non emerge nulla di così denso di mistero se non una storiella estiva” dico con tono ironico.

“Solo a chi ha la pazienza di aspettare le cose si riveleranno. Se ti fermi a ciò che appare di primo acchito hai ragione tu, questo video non ha alcun senso, ma soffermati sui dettagli e aspetta.”

Mi fido del nonno: mi ha insegnato tanto di quello che so e voglio capire dove vuole arrivare.

Il filmato continua con l’inquadratura del Pireo, porto di Atene: si vede Costa con Gen, intenti a salire su una barca a remi poco più grande della scrivania di camera mia. È una giornata magnifica, il sole è alto nel cielo azzurro e i due paiono innamorati. Il giro in barca inizia e chiacchierando mio nonno le indica il suo sito archeologico preferito, il tempio di Apollo Patroos sull’Acropoli. Le racconta dei suoi studi universitari e tra i miti a cui accenna, c’è la storia di Oreste, figlio di Agamennone, al quale il dio, secondo una delle tante versioni del mito, aveva consigliato di portare una statua di Artemide nel suo tempio per liberarsi delle Erinni, divinità malvagie che lo perseguitavano da quando lui aveva osato uccidere la madre Clitennestra.

Gen pare incupirsi e non riesce a trattenere una lacrima.

Mio nonno subito cerca di capire se avesse detto qualcosa di sbagliato, le prende le mani e aspetta una sua risposta, ma la misteriosa fanciulla cerca di cambiare argomento e, scusandosi per la sua reazione insensata, lo esorta con delicatezza a tornare indietro perché di colpo si sente stanca.

“L’unica riflessione che riesco a fare è che questa fanciulla fosse particolarmente sfuggente nonno, ma nulla di più.”

Noto che a queste mie parole sorride in maniera appagata, come se avessi colto qualcosa e fossi a tanto così dall’arrivare al punto.

Questa volta è il nonno ad essere inquadrato: camminano nella zona di Psyri, mentre lui spiega a Gen che lo riprende il perché di questi suoi video. Le spiega della volontà di dare memoria a momenti spensierati della sua gioventù come per lasciare un messaggio, un segno. Non per forza qualcosa di grandioso ma qualcosa per cui poter essere ricordato, manifestando inoltre che la sua più grande paura è passare senza aver lasciato nulla.

Un silenzio assordante diventa protagonista della scena, il nonno mette una mano sopra la cinepresa come per chiuderla e lo sento un ‘altra volta dire: “Che succede Gen?”

La ragazza si è nuovamente rattristata e, forse convinta che il filmato si fosse interrotto, scoppia in un pianto che pare essere molto antico ed ha termine con qualche parola singhiozzata: “Non ce la faccio più, devo parlarne a qualcuno.”

Il video continua nella stanza di mio nonno, suo odierno studio nella casa in cui vive e luogo in cui stiamo guardando le clip.

La giovane inizia così: “Nel posto da cui vengo io le cose sono così diverse, e così complicate… tra poco ti sembrerò folle ma ho bisogno di sapere che in ogni caso non mi deriderai e proverai a credermi, ma che soprattutto non racconterai a nessuno della mia storia.”

Mio nonno stringendole la mano la rassicura e lei inizia a raccontare: “Gen non è il mio nome ma il soprannome con cui era solita chiamarmi la mia balia quando ero molto piccola. Il mio nome è Ifigenia: mio padre è Agamennone re di Micene, mia madre Clitemnestra. Ho due fratelli: Oreste, il minore ed Elettra. Sono finita in questo tempo in cui vivi tu da qualche giorno. Sono venuta a cercare lavoro nell’osteria di tuo padre e non so più come tornare nel mio e, in verità, non so neanche se nel mio mondo ci voglio tornare.” Mio nonno smette d’inquadrare la giovane, la quale chiede espressamente che quel video non venga diffuso, e con voce dura chiede a Gen di uscire da casa sua.

Il nonno stoppa il video ed io scoppio a ridere. Lui mi guarda come se già si aspettasse questa mia reazione. Io dico ancora in maniera giocosa: “Quanti matti ci sono in giro?! Ora, quando esco da qui, mi dà un passaggio fino a casa Achille con il suo carro!”

Continuo a ridere ma noto che al contrario mio il nonno e molto serio e gli domando: “Non dirmi che ci credi?!” Lui senza scomporsi mi spiega il perché di quella sua reazione, il perché avesse cacciato Gen da casa sua: “Pensavo fosse una farabutta, ero arrabbiato con lei, ci avevo creduto davvero da ventenne sognatore quale ero che potesse essere più di una storia estiva e mi sentivo preso in giro. Rimuginai e pensai parecchio a come comportarmi. Decisi infine di continuare a vederla ma di avere la mia rivincita: avrei continuato a riprenderla e, al termine della stagione estiva, avrei montato un video per smascherarla davanti a tutti coloro con cui, specialmente all’interno dell’osteria, aveva costruito un rapporto e che aveva preso in giro, proprio come aveva fatto con me. Volevo divertirmi ancora un po’ e vedere fino a che punto si sarebbe spinta. Più i giorni passavano, però, e più questo mio progetto iniziale diventava un ricordo lontano”

Il nonno va avanti con le scene e ne seleziona una in cui si vede Gen sdraiata sul prato del Giardino Nazionale che guarda un punto fisso nell’orizzonte e dice: “Mio padre mi chiamò in Aulide con la scusa di prendere il suo posto come comandante dell’esercito, in quanto sua primogenita perché lui diceva di essere stanco e anziano”

“Un altro storico, Euripide, racconta che tuo padre usò un’altra scusa: le tue nozze combinate con Achille, per farti giungere in Aulide.”

E lei rispose ridendo: “Ne inventarono molte sul mio conto…Io credetti a mio padre comunque, credetti che avesse davvero bisogno di me, perché mio padre non era come lo descrive quel testo che mi hai dato di quel tale, quale è il suo nome? Omero? Che ne parla come di un comandante privo di scrupoli, violento e maschilista. Lui non era così: la società in cui viveva era così e probabilmente la guerra tirò fuori il suo lato meno umano”

“E poi cosa avvenne?”

“Scoprii che l’unica ragione per cui mi trovavo lì era per venire sacrificata alla dea Artemide affinché i Greci potessero tornare a casa. Secondo quanto detto dal profeta Calcante, infatti, questo era l’unico modo per permettere il ritorno poiché la dea era avversa ai Greci. A quel punto mi disperai: dovevo morire, ma soprattutto ero stata tradita da mio padre.”

“Poi però la dea ti salvò e ti portò in Tauride, nel suo tempio.”

“Si, ma se pur mi concesse di continuare a respirare, la vita mi divenne insopportabile: ero rilegata in un tempio in cui il mio compito era sacrificare a lei tutti gli stranieri che arrivavano ed anche in quei giorni mi tormentava un’immagine, fissa nella mia mente.”

“Quale?”

“Quella di me bambina che guardavo dalla finestra mio padre partire per la guerra e di lui che si voltava per salutarmi. Trascorsero dieci anni dalla sua partenza, tutti si fecero la propria vita: mia madre si accompagnò ad un altro uomo ed inviò mio fratello Oreste lontano; Elettra cresceva come un fiore ed io, se pur facessi fatica a ricordare il volto di mio padre, tutte le sere guardavo l’orizzonte, nella speranza di vederlo ritornare.”

Mio nonno stoppa il video e nota nel mio volto essersi palesato un dubbio: se alcuni minuti prima ero certa di aver avuto davanti a me sullo schermo un’attrice ora dallo sguardo, dalla voce, dal modo in cui la giovane aveva parlato, non avevo più sicurezze sul suo conto.

Continuiamo la visione e questa, dice il nonno, avrebbe dovuto essere una delle ultime riprese prima del giorno in cui, secondo i piani, avrebbe dovuto smascherarla. Si vedono mio nonno e Gen camminare per le strade di Atene: è sera, passano poche macchine e mio nonno così per gioco la sfida a sdraiarsi in mezzo alla strada insieme a lui e sfidare le paure. Lei per un attimo esita, ma poi accetta la sfida. I due sono sdraiati uno a fianco all’altro e lei chiede a mio nonno “Di cosa hai paura?” e lui risponde “Di non riuscire, come ti dissi quel giorno che passeggiavamo a Psyri, a lasciare il segno. Ho in cantiere un libro, ma non so se riuscirò mai a pubblicarlo”.

“Solo se tu per primo crederai in questo progetto esso si realizzerà: guarda me, non avrei mai creduto di poter per una volta essere padrona della mia vita e invece eccomi qui, nell’Atene di mille e mille anni avanti, sdraiata in mezzo alla strada con te. Chi l’avrebbe mai detto?” Mio nonno sorride e risponde: “Ora però voglia sapere la tua grande paura” e lei con l’aria nuovamente assorta “Non trovare il coraggio di tornare a casa: sono arrivata in questo mondo dopo essermi ribellata ad Artemide tentando di scappare dal suo tempio in Tauride, e, con la volontà di punirmi, mi ha portata in una realtà priva di divinità per farmi capire cosa significa non avere nessuno che ti viene a soccorrere nel momento del bisogno. Ma io ora sono solo più confusa, non so se le divinità siano per me una gabbia o in fondo mi tutelino; poi anche se in questo mondo non sono presenti come nel mio, io le sento ugualmente vicine”.

“Ifigenia” dice con voce sicura, “non potrai mai liberarti di loro nella tua realtà finché non ti sarai liberata di loro nella tua interiorità. Nella gabbia non ti ha rinchiusa Artemide, ma te la sei creata tu, quando hai acconsentito a sacrificare tutte quelle persone nel suo tempio in Tauride, quando aspettavi dalla finestra ogni sera tuo padre, consapevole del fatto che non Agamennone comandante, ma l’uomo che dieci anni prima si era voltato per salutare la sua bambina, non sarebbe più tornato…le divinità non sono altro che la rappresentazione concreta delle tue paure più profonde .”

Vedo la ragazza sbigottita, senza più quella confusione e paura negli occhi. Con voce scherzosa replica: “Finalmente mi hai chiamata Ifigenia”.

Mio nonno mi dice che quella sarebbe stata l’ultimo loro incontro.

“Se  avessi avuto l’occasione di rivederla non l’avrei denunciata come attrice quale credevo, perché questa donna aveva qualcosa, forse un che di magico che mi fece ricredere .Ancora oggi quel qualcosa mi fa pensare di aver conosciuto proprio l’Ifigenia dei libri, quella vera”.

“Da quel momento non hai più avuto sue notizie?” chiedo.

“Lasciò una lettera che dovrei aver conservato. Dovrei averla in cucina, vado a vedere: vuoi dell’altro latte caldo, tesoro?”

“No, grazie nonno!”

Uscendo dalla stanza fa cadere un libro dal quale spunta un foglio a righe sgualcito negli anni, di un giallo scolorito. Mi alzo dalla sedia a dondolo per raccoglierlo: è il libro del nonno “γίγνομαι δυνατος”. Apro il foglio e leggo.

Caro Costa, sono qui seduta sugli scalini del tempio di Apollo, quel tempio che solo a sentirlo nominare, quel giorno in barca insieme, mi faceva tanto paura. Prima di conoscere te, di venire a contatto con la modernità mi sentivo fragile: pensavo di non essere in grado di reagire alle esperienze traumatiche della mia vita, di essere indipendente e agire solo per il mio bene. Giungendo a contatto con il futuro ho capito di non poter perdere neanche un secondo della mia realtà. Grazie di avermi dato la forza per ammettere che quando tentai di scappare da Artemide, non stavo facendo altro che scappare da me stessa, in quanto lei è solo frutto della mia paura di non riuscire a reagire alle ingiustizie che nella vita si vivono. Spero che anche mio fratello capisca che solo quando darà una tregua a se stesso, trovando un po’ di pace dentro di sé, le Erinni spariranno. Conserva sempre la curiosità e non fare mai sì che i pregiudizi o i dubbi ti fermino, potresti perderti qualcosa di bello.

Ifigenia

Finisco di leggere questa lettera senza accorgermi che mio nonno è già seduto vicino a me che mi guarda: vedo nei suoi occhi la felicità. Era conscio che chiunque, davanti a questa storia, avrebbe creduto fosse tutto frutto di un viaggio mentale di un povero anziano che ha sempre vissuto nei miti, ma lui sapeva che io non l’avrei pensata così. Sapeva che io, da qualche parte nel mio cuore, avrei creduto a quella donna come ci aveva creduto lui quarant’anni prima, non tanto perché amiamo la magia o la fantasia ma perché crediamo (citando il suo libro “γίγνομαι δυνατος”, nascere forte, significato del nome greco Ιφιγένεια) che la letteratura, la storia e anche il mito non siano qualcosa di passato ma eternamente contemporaneo e vivo

“Abbi sempre il coraggio di avere paura, di ammettere le tue paure, sarà il primo passo per superarle” mi dice il nonno mentre spengo le candeline della mia torta.

Ifigenia non è morta, vive nei cuori di tutti quelli che trovano la forza di riscattarsi, di dire no al dolore, di chi decide di non lasciarsi schiacciare dalle paure ed è anche qui, nella mia ultima notte da diciassettenne insonne, a darmi la sicurezza che, se anche le cose cambieranno, troverò il coraggio di affrontarle.