VIVERE NELLA LEGALITA’/I testimoni del nostro tempo

Incontro con Nicola Clemenza, presidente dell’associazione antiracket “Libero Futuro Castelvetrano”

 

Venerdì 18 dicembre su piattaforma zoom si è tenuto il primo incontro dei quattro previsti dal progetto “Vivere nella legalità” con i testimoni del nostro tempo. Protagonista della nostra intervista è stato Nicola Clemenza in video collegamento da Partanna, provincia di Trapani. Attraverso una carrellata di immagini abbiamo cercato di ricostruire il percorso lavorativo e privato di un uomo straordinario.

 

Buongiorno dott. Clemenza e benvenuto. Grazie di aver accettato l’invito a partecipare al nostro progetto. Comincerei subito con una domanda apparentemente semplice … chi è Nicola Clemenza?

È una domanda che abitualmente mi pongo perché ogni giorno cambio e affronto una sfida nuova. Ognuno di noi deve costruirsi, andare avanti senza mai arrendersi, bisogna emanciparsi e studiare. Diceva Bufalino che la lotta alla mafia bisogna farla come un esercito munito di carta e penna, e non di armi. Quindi chi è Nicola Clemenza? In realtà non lo so, sicuramente è una persona profondamente curiosa, che non si arrende e che ogni giorno si reinventa, modificandosi per adattarsi ai tempi.

 Di cosa si occupa?

Sono un insegnante di scuola elementare da trent’anni, sono un amministratore di un’azienda agricola, ho attivato un consorzio con altri agricoltori, lavoro in una società di innovazione tecnologica per brevetti industriali, in particolare sulla difesa dell’ambiente, e insegno storia della pedagogia e pedagogia sociale all’Università “Auxilium Pontificia Facoltà”. Quest’anno sono stato distaccato dal Ministero dell’Istruzione e assegnato ad un’associazione chiamata “Casa famiglia Rossetta” che si occupa di aiuto alla disabilità e collaboro con il SERT.

 Tra Palermo e Trapani si trova la valle del Belice nota sia per le sue bellezze naturali che archeologiche, ma purtroppo anche per l’abuso edilizio avvenuto a seguito del terremoto del 1968. Oggi com’è la situazione? Si è preso coscienza del fatto che ciò che viene deturpato non tornerà più come prima?

Si, sicuramente si è presa molta coscienza. Quello splendido litorale è stato deturpato negli ultimi 40/50 anni. L’immagine del primo logo del consorzio Tutela Valli Bellicine mi emoziona molto; le iniziali formavano la siglia T.V.B. L’obiettivo del consorzio era stimolare gli agricoltori alla raccolta, alla pulizia degli argini del fiume e alla realizzazione di opere architettoniche di bioedilizia. Un progetto innovativo che, sebbene non si sia realizzato pienamente, ha comunque contribuito a cambiare in questi ultimi anni la mentalità. Una delle cose che più mi feriva è che in un territorio come il nostro, di cui il 99% è coltivabile e la coltivazione intensiva potrebbe essere facile, la tentazione di deturpare il territorio mettendo serre e utilizzando molti concimi era tanta. Io ed altri agricoltori ci siamo ribellati: attualmente l’olivo e la vigna sono difesi dalle nostre continue battaglie contro l’uso di pesticidi e fertilizzanti. Credo che non bisognerebbe arrendersi mai, fin quando c’è vita e speranza.

 Rimaniamo sempre sul tema della Valle del Belice, perché è nato questo consorzio?

Questo consorzio è nato perché nella Valle del Belice ci sono grandi oliveti e vigneti ed è presente un’agricoltura ancora sana, ma gli agricoltori stentano ad andare avanti ed è scandaloso vedere qual è la resa per ettaro di terreno qui nel Belice rispetto che in Veneto, in Lombardia o nella stessa Liguria. Qui qualcosa non funzionava bene: infatti la criminalità organizzata colpiva gli agricoltori. Si vendeva l’uva ad un prezzo bassissimo, ma le piantine per la vigna costavano cinque volte più che nel resto d’Italia. La capacità di riunirsi e di fare fronte comune non c’era, così decisi di mettere insieme gli agricoltori su questo territorio iniziando proprio con i gruppi di acquisto: siamo più forti se invece che comprare 10 piantine ne compriamo 10.000, siamo più forti se spieghiamo a tutti cosa fare, siamo più forti se insieme proviamo a imporci con dei prodotti sani, facendo ognuno la propria parte. Questo consorzio nasce con l’idea di cambiare, risollevare, emancipare un territorio. Attraverso il consorzio volevo dare dignità ad ognuno degli agricoltori del Belice, i cui prezzi così bassi non permettevano di andare avanti.

Quali sono state le conseguenze di questa iniziativa?

Inizialmente notai alcune reazioni particolari, che non riuscivo bene a capire. Successivamente gli inquirenti iniziarono a controllarmi per tutelare la mia sicurezza, ma io non mi sono lasciato intimorire. Io non nasco da una famiglia di contadini, ma mi sono avvicinato alla campagna per passione dell’ambiente. Ho creato il consorzio per risollevare il nostro territorio; allora non riuscivo a capire certe dinamiche, ma poi tutto fu chiaro.  Il giorno stesso che inaugurai il consorzio sono stato vittima di un attentato: durante la notte è stata incendiata la mia automobile e parte della mia casa mentre io dormivo con mia moglie e mia figlia di un anno e nessuno è intervenuto per aiutarci.

Voi vivete in centro a Partanna: come è possibile che nessuno si sia accorto di nulla?

I responsabili dell’attentato, in una periferia del paese, hanno bruciato un’altra auto chiamando loro stessi i vigili del fuoco; subito dopo hanno appiccato il fuoco sulla mia con 70 litri di benzina, ma i soccorsi non sono arrivati subito perché impegnati nell’altra chiamata. La mia macchina era irriconoscibile e completamente fusa. E’ stata distrutta tutta la facciata della casa, i vetri e la porta d’ingresso: io e la mia famiglia non potevamo uscire, ma l’indomani mattina nessuno aveva né visto né sentito niente, nessuno si è accorto di nulla. Il segnale mafioso è arrivato a me, ma stranamente tutti gli altri non lo percepivano. Neanche il Comune si è dichiarato parte civile, ma per fortuna ho ricevuto il sostegno dal resto d’Italia; mi sono quindi spostato a Palermo per cercare aiuto e lì ho conosciuto Enrico Colajanni con il neonato “Libero Futuro”.

 Anche la Liguria, come la Sicilia, è una regione produttrice d’olio, di conseguenza siamo a conoscenza del duro lavoro, della manodopera necessaria e dei costi che ci sono dietro la produzione. Come è possibile trovare sul mercato dell’olio extravergine d’oliva a prezzi davvero bassi?

Ho voluto scoprire tutte le dinamiche che ci sono dietro la produzione d’olio extra vergine d’oliva a tal punto da creare il mio olio evo e chiamarlo con il mio nome: “Nicola Clemenza”. Sulla bottiglia oltre il mio nome troverete anche le informazioni organolettiche del prodotto, così garantire trasparenza. Mi sono anche chiesto come facevano gli altri a proporre un prodotto ‘’genuino’’ a prezzi troppo bassi, che io personalmente non sarei mai riuscito a sostenere. Penso che noi agricoltori dovremmo proporci come parte civile denunciando tutte quelle persone che fanno un prodotto adulterato che danneggia solamente la nostra immagine, facendo del male a tutti. Abbiamo scoperto che è possibile produrre un olio evo in laboratorio utilizzando addirittura l’olio dei motori raffinato fino a renderlo un composto oleoso, inodore, chiamato isopropilmeristato, che viene trasformato in olio evo grazie a coloranti e aromi.

 Vorremmo rivolgere la prossima domanda a sua moglie, la prof.ssa Francesca Signorello, perché combattere in prima persona significa non solo mettere a rischio se stessi ma anche le persone a noi care. Signora, quanto le scelte di suo marito hanno influito sulla vostra famiglia?

A volte è stato difficile affrontare la situazione, in particolare quando le nostre figlie erano piccole: infatti spesso erano escluse ed emarginate dai compagni di scuola. Ora sono grandi, capiscono e fortunatamente hanno ereditato il carattere forte del padre. Comunque non è stato e non è facile perché tutti i giorni affrontiamo una realtà che non è come vorremmo, ma non bisogna mai arrendersi.

Sicuramente ci vuole coraggio. Nicola, avete mai avuto paura?

La paura c’è sempre, ogni giorno. Nonostante ciò sono intenzionato a cambiare la mentalità della società. Infatti mi sono reso conto di una cosa: durante il periodo stragista della mafia, chi come me si ribellava veniva ucciso. Chi si è ribellato nello stesso periodo in cui l’ho fatto io, ha dovuto subire incendi alla macchina o all’abitazione. Per chi si ribella oggi le conseguenze sono decisamente minori rispetto al passato. In futuro ribellarsi diventerà la normalità; anzi, sarà lo stesso delinquente ad avere paura. In passato, coloro che non sottostavano alla violenza della mafia era oggetto di vergogna e discriminazione. Al contrario, per me è un orgoglio. Non nego che anche io ho avuto paura, ma ho sempre voluto migliorare la società, anche per la mia famiglia. se io mi fossi fermato e se avessi fatto vincere la paura saremmo ritornati indietro, mi sarei sentito complice di tutti gli orrori commessi dalla mafia. Coloro che stanno inermi davanti alle ingiustizie sono colpevoli.

 Lei è il presidente di “Libero Futuro di Castelvetrano”. Qual è lo scopo di questa associazione?

“Libero Futuro” è nato 15 anni fa grazie a Enrico Colajanni, dall’esigenza di unire gli imprenditori vessati che pagavano il pizzo e di accompagnarli alla denuncia. Noi, a differenza di quello che potevano fare gli inquirenti e le forze dell’ordine, non volevamo fare la guerra a nessuno. Abbiamo cominciato a fare una denuncia preventiva, attraverso l’associazione Libero Futuro, per un’impresa libera, facendo un patto anti pizzo. In tutti i nostri cantieri veniva appeso un cartello con scritto “qui si costruisce un futuro libero, associazione anti racket” per avvisare il mafioso che se fosse venuto, l’avremmo denunciato. Non avevamo paura. La nostra denuncia preventiva è diventata una grande forza, nessuno si permetteva infatti di avvicinarsi. Libero Futuro ha accompagnato oltre 350 imprenditori alla denuncia, ma ce ne sono migliaia iscritti con il patto anti racket. L’associazionismo è diventata l’arma migliore per combattere la mafia.

 La mafia si insinua in tanti settori, anche nello smaltimento dei rifiuti …

Il rapporto tra la mafia e i rifiuti è strettissimo; in questi casi si parla infatti di “ecomafie“. Da sempre la criminalità organizzata guadagna grazie a questo business. Noi siamo consapevoli che la raccolta differenziata e il riciclo può disincentivare questo mercato illecito. Nonostante le difficoltà, abbiamo presentato un progetto per favorire il riciclo e abbiamo installato macchine che restituiscono denaro in cambio di rifiuti. Abbiamo subito moltissimi controlli riguardo la distribuzione di cassonetti per la raccolta differenziata. Tuttavia, l’attività è risultata pienamente in regola e non ci siamo lasciati fermare dalle forti pressioni che abbiamo ricevuto.

 Questo progetto è piaciuto a molti, ma non a tutti. Sappiamo che è stato vittima di un attentato, potrebbe parlarcene?

Effettivamente la nostra attività, anche se economicamente non incide in modo rilevante sul business delle mafie, è stata ostruita. Un giorno salendo in macchina ho sentito uno strano rumore, quindi l’ho portata dal meccanico. È risultato che i bulloni delle ruote erano stati allentati al fine di provocare un incidente e un danno alla mia persona.

Nel 2018 escono notizie sul fatto che “Libero futuro” è stata cancellata dalla lista delle associazioni antiracket da parte della prefettura di Palermo, cosa è successo? E ad oggi come si è evoluta la situazione? Siete riusciti a fare chiarezza visto l’evidente equivoco?

Il prefetto che ci osteggiava è stato condannato a 2 anni. Siamo stati accusati di collaborare con imprenditori in combutta con la mafia, i quali però erano già segnalati dalle forze dell’ordine. Un imprenditore che abbiamo seguito addirittura è stato premiato dalla prefettura di Palermo per aver denunciato 26 persone che poi sono state arrestate, concludendo una delle più grandi operazioni antimafia sul territorio. Noi non ci siamo mai arresi e abbiamo sempre continuato a combattere. Adesso potremmo iscrivere l’associazione in prefettura, ma abbiamo deciso di non farlo perché speriamo che nel prossimo futuro non ci sia più bisogno del nostro aiuto. La gente sta finalmente capendo quanto è radicata la mafia e la corruzione sul territorio e non è giusto criticare tutta la prefettura per qualche singolo caso di corruzione.

 I compagni che ci hanno preceduto negli anni scorsi hanno portato avanti un progetto sulla legalità che poi si è concluso con la pubblicazione di un libro sull’esperienza vissuta e con la promozione delle attività che fate dando luce e valore al vostro lavoro. Noi, adesso, nel nostro quotidiano, cosa possiamo fare per promuovere la legalità?

Una delle nostre prime iniziative è stata quella dell’adesione al consumo critico: aiutare gli imprenditori che fanno parte di questa rete e che hanno il coraggio di identificare i loro prodotti come risultato di un percorso legale. L’idea del consumo critico è quella vincente: dobbiamo interrogarci sul fatto che non possiamo aspettarci da quei commercianti, agricoltori o imprenditori che facciano gli eroi e si muovano per tutti, ognuno di noi può fare la sua parte. La strada giusta è la società civile: siamo noi a dover supportare il commerciante acquistando i prodotti frutto di scelte corrette e legali. Penso che i prodotti alimentari, contrassegnati con il bollino antimafia abbiano una vitamina in più: la vitamina “L” libertà e legalità. Acquistare quei prodotti diventa la nostra piccola battaglia che possiamo fare in qualsiasi parte del mondo. Abbiamo portato la dignità in un territorio semplicemente acquistando quel prodotto.

 

“I buoni sono più dei cattivi ma se stanno zitti non si sentiranno mai”,“A un mafioso so cosa rispondere, a un codardo non saprei cosa dire” : queste sono sue frasi che ci hanno particolarmente colpito per il coraggio e la determinazione . Grazie per averci dedicato il suo tempo, per averci fatto ancora una volta riflettere e averci reso più consapevoli delle nostre scelte.