Giovani usati per gioco, feriti per sempre

di Federico Pichetto

 

– Dietro la nostra società perbenista c’è tutto un mondo che non vogliamo guardare. Ragazzi presi in giro per il loro peso, per i loro difetti, o semplicemente per l’avere o il non avere una ragazza, un ragazzo, per il non fare le cose che abitualmente fanno tutti. C’è tutto un mondo nascosto dietro i volti dei nostri figli, dei nostri fratelli, dei nostri amici. Un mondo violento che non accetta che loro siano quello che siano, che non accetta la gioia del loro semplice “esserci”, ma che li vuole rendere sempre più deformati, sempre più bestie, sempre più simili a sé. Questo mondo vince perché il cuore dei nostri ragazzi è pieno di solitudine, di paura, di vuoto, di amarezza. E, pur di avere un po’ di bene, pur di essere accettato, si abbassa – ma molte volte sarebbe meglio dire “si presta” – a fare tutto. Troppo spesso le ragazze diventano giocattolini sessuali che, per avere affetto, devono dimostrare di essere disposte ad accontentare i desideri dei loro maschi. Non capita di rado che una ragazza venga proprio giudicata dalla sua “disponibilità” a far provare al ragazzo più emozioni possibili, concedendo se stessa e il proprio corpo ad ogni esperimento, ad ogni condivisione. Tutto questo parte anche sul web: i canali Telegram o Snapchat – solo per citare due nomi di Social – sono utilizzati per fotografarsi parti del corpo, per filmarsi, per “rendersi desiderabile”. E qui parte la seconda parte di questo fenomeno: la voglia e la necessità di vedere, di farsi guardare, di riprendere con lo smartphone l’intimità e le prodezze sessuali proprie e di chi affermiamo di voler bene. Noi adulti non ci rendiamo conto di quanti video, di quante foto, di quante umiliazioni o “prestazioni da caserma” girino davvero sul web. I genitori sono preoccupati del rendimento dei loro figli, del sogno che si sono fatti sulle loro vite, e li difendono, li opprimono, attaccano e litigano con chiunque (dal professore all’allenatore), ma ignorano di avere già perso. Perché le loro misure affettive non possono competere con il vuoto e con il dolore che molti dei loro figli vivono proprio tra i coetanei. E così si esagera. Si commettono bravate, si beve “come se non ci fosse un domani”, si passa dal fumo alla cannabis, dal risiko al poker, dalla trasgressione alla cocaina. Non su Marte, non a New York, ma qui – nelle nostre case e nelle nostre città. Non c’è nessuno al sicuro, nessuno di insospettabile perché tutti prima o poi con questo mondo si scontrano. Capita che qualcuno resista, e allora viene bullizzato, umiliato, costretto a fare di fronte a tutti, tra l’inerzia, l’omertà e il silenzio di quelli che ha sempre chiamato “amici”. Eppure qualcuno alla fine sopravvive, riesce a sottrarsi a tutto questo. Ma per favore, da oggi, non dite più che “essere ragazzi” è una cosa facile o che sapete tutto di loro e dei loro comportamenti. In realtà quello è un mondo di cui noi – gli adulti – non sappiamo niente. Se non quello che riusciamo a cogliere da qualche gridi, da qualcuna delle loro lacrime, che – finalmente – riesce a raggiungere i nostri occhi.

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