La morte sotto spoglie di ragazzo: cosa sta succedendo?

Di Alberto Zali

– Ha 17 anni il ragazzo che ha ucciso a sassate la sua fidanzata di 16; ha 18 anni l’attentatore che lasciato la bomba pochi giorni fa nella metropolitana di Londra. Sono nostri coetanei. Prima che svitati, pazzi, integralisti, bianchi, neri, mussulmani, cristiani… sono adolescenti. Che cosa sta succedendo?

Non ci sono parole per descrivere l’atrocità e l’abominio di un ragazzo che massacra la fidanzata per gelosia, giustificando con l’amore la propria bestialità. Non ci sono scuse per chi strappa la vita ad un’altra persona. C’è solo amarezza e vuoto. Ogni volta è sempre la stessa storia. Ogni catastrofe come questa porta con sé delle domande. “Perché l’ha fatto?” è la prima cosa che ciascuno di noi si chiede quando accade qualcosa del genere. “Perché l’ha fatto” – ce lo chiediamo ancora prima di giudicare. Ma forse è qui che stiamo sbagliando.

Abbiamo disimparato a pensare male degli altri. Sono tutti buoni, tutti innocenti… almeno finché la morte non bussa alla nostra porta e ci coinvolge da vicino strappandoci un nostro caro. Siamo illusi dal fatto che ci debba essere per forza una ragione dietro un gesto del genere. E se proprio non troviamo un movente “valido” per giustificare il crimine, attribuiamo il tutto alla disperazione.

Abbiamo disimparato a pensare male degli altri. E lo abbiamo fatto per giustificare noi stessi, perché in fondo ciascuno di noi ha desiderato almeno una volta il male dell’altro. E, in un angolo remoto della nostra coscienza, sappiamo che al posto di quel pazzo sul quale ora sono addossati tutti gli sguardi, ci saremmo potuti capitare noi.

Adesso ci chiediamo come un ragazzo possa commettere certe efferatezze e non ci rendiamo conto che, fino ad un secolo fa, a 13 anni si impugnava già un fucile e si sparava al nemico. L’uomo ha sempre ucciso. “Homo homini lupus” direbbe il filosofo Hobbes, rifacendosi ad una frase di duemila anni fa. Uccidere è nella natura umana. La differenza è che una volta uccidevamo per necessità, per difesa. Adesso accade per frustrazione, per rabbia o forse addirittura per noia. Viviamo in un mondo in cui disponiamo di tutto quello che vogliamo. Nessuna generazione precedente ha avuto tante comodità quanto la nostra. Eppure siamo profondamente infelici e, appena ci viene negato anche il più piccolo capriccio, diamo di matto. E c’è chi è sempre pronto a giustificarci.

Ma così non funziona. Possiamo giustificare un furto, possiamo anche giustificare un omicidio. Ma poi? Cosa abbiamo risolto? Ci saranno altri furti e altri omicidi. Perché infondo ogni ladro, ogni assassino ha già perdonato sé stesso. Non dobbiamo odiare questi due ragazzi che ho preso ad esempio. Non ne saremmo neppure capaci perché in realtà a noi non hanno fatto niente. Possiamo anche provare a perdonarli. Questi ragazzi hanno una vita davanti e, se davvero hanno capito la gravità delle loro azioni, si voteranno a fare il bene e otterranno il perdono. Ma se li giustifichiamo o proviamo a farlo, vuol dire che – consapevolmente – ne stiamo perdonando il gesto. E lo stiamo facendo per egoismo, per giustificare noi stessi e il nostro male. Loro hanno una colpa che può essere perdonata, ma non deve assolutamente essere scusata.