Il prof di Avola e noi: non siamo più capaci ad accettare dei “no”

di Alberto Zali

– Ha sessant’anni Salvo Busà, il professore di Avola (Sr) aggredito dai genitori dell’alunno dodicenne che aveva osato rimproverare. Un ordine troppo autoritario dato al ragazzo: chiudere la finestra. La nota sul registro dopo che questi aveva lanciato in risposta un libro contro l’insegnante. Un’onta che nessuno di noi sarebbe disposto a tollerare: ci sta l’insulto, ci sta il “vaffa…”. E se il prof. reagisce, il ragazzo si sente in diritto di chiamare i genitori, che prontamente accorrono a risolvere civilmente la questione.

Ha sessant’anni Salvo Busà ed ora ha paura. Non si sente pronto a tornare ad insegnare, a nulla sono valsi gli incoraggiamenti della figlia e dei colleghi. Piena di sconforto è stata la risposta alla ministra Fedeli, che si è subito precipitata al telefono per sentire la voce di un suo “collega” ferito. Non sono la mano slogata o la costola rotta a fargli più male. È l’uomo che è stato ferito. Gli ideali che lo hanno convinto ad intraprendere la carriera scolastica crollano come un castello di carte. Il cuore si incrina: la consapevolezza di un sistema educativo degenerato è quanto più duole. Salvo si dichiara sconfitto, ma la sua é solo la “vicenda di un prof di provincia” e, di certo, non saranno i suoi sogni a cambiare l’Italia.

Il rapporto scuola-famiglia è morto. Il rapporto alunno-professore è estraneo a concetti quali rispetto e collaborazione. La scuola é solo un’inutile palla al piede. É difficile che gli alunni decidano autonomamente di studiare. Raro che si impegnino per conseguire più di una mera promozione. Estremamente raro che studino per sé stessi, forti di una qualche passione che li spinga ad approfondire le conoscenze di base. Poche sono le isole felici esenti da queste critiche. Oggi, ancora ci chiediamo dove abbiamo sbagliato.

La nostra generazione soffre di un’incapacità ad accettare i “no”. Abbiamo tutto. É fuori da ogni nostra ottica che ci venga negata anche la più piccola cosa. Ogni “no” che riceviamo é una sconfitta che difficilmente deglutiamo. Non c’é da stupirsi se accadono episodi come questo. I genitori stessi sono complici e vittime di questo sistema: incapaci di imporsi sui figli, inconsciamente percepiscono come un affronto il fatto che siano altri a svezzarli. È un eccessivo protezionismo che sfocia in una mancanza di educazione.

Pensare di poter ritornare agli antichi rigori del passato é una distopia. Quanto più temiamo non è la violenza che si manifesta in questi ragazzi, bensì il vuoto esistenziale che covano dentro. Se un semplice “no” può suscitare tali reazioni, cosa smuoveranno in loro dolori più grandi? Oggi, ancora ci chiediamo dove i nostri genitori abbiano sbagliato. E, talvolta, davvero speriamo che sia ancora possibile rimediare ai loro errori. Un giorno saremo noi i genitori. Lì si giocherà la nostra sfida. Lì avremo il nostro riscatto, dimostrando che il dialogo é ancora possibile.

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