#ShareTheStory/Il Paese della Pioggia, Capitolo Primo

di Alberto Zali

– Bentornati con ShareTheStory, la rubrica di Sharing che consente a tutti coloro che hanno una storia o un racconto nel cassetto di pubblicarlo direttamente sul nostro sito! Questa domenica vi proponiamo la lettura del capitolo primo de “Il Paese della Pioggia”, libro inedito scritto da Alberto Zali, di cui la settimana scorsa abbiamo pubblicato il Prologo. Non dimenticate di mandarci anche le vostre storie. Buona lettura!

CAPITOLO PRIMO

Hai mai guardato così tanto qualcosa fino a sentirti parte di esso? Riformulo la domanda: hai mai sentito una qualche forma di collegamento tra il tuo stato d’animo e ciò che ti circonda?

Oggi è meno buio del solito. Le gocce toccano il terreno in modo discontinuo, quasi che il cielo si fosse calmato tutto d’un tratto. Avverto una strana sensazione, come un brivido lungo la schiena. È una sensazione di quiete quasi surreale, una sensazione nuova a cui la mia mente sembra non volersi abituare. Non ho più il temporale a tenermi compagnia e mi assale la noia. Mi aggiro fra le stanze di casa mia in cerca di un qualcosa che mi distragga, di un rumore a me familiare. Sarà questo il sole? Spero vivamente di no, odio questa pioggerellina che emette un suono al limite della sopportabilità. Non è né carne né pesce: chissà come sarebbe silenzioso il mondo se non piovesse mai. Forse si udirebbe un altro rumore, si percepirebbero suoni che la pioggia copre, o ancora una qualche melodia a tema, proprio come durante le rappresentazioni teatrali. Vado dal nonno, lui mi saprà fornire di certo una spiegazione a questo cambiamento.

Esco di casa e attraverso la piazza, più affollata dal solito. Fra chi si è limitato a sbirciare dalle inferriate a chi si è spinto sull’uscio della propria abitazione, sono tutti a domandarsi cosa stia succedendo. Ma non do loro molta importanza. Quei visi cupi non mi saprebbero dire niente di nuovo e scommetto che abbiano già ipotizzano l’arrivo di una qualche sciagura. I bambini si spingono oltre gli steccati dei cortili e osservano ad occhi aperti il cielo, che sembra voler dare loro una tregua. Lanciano il pallone che fa ben due salti in più del solito. Sorridono. Fisso questa immagine nel profondo della mia mente e rifletto sul fatto che non ho mai visto nulla di simile. Se il sole dovesse veramente esistere, questa immagine avrebbe un poco della sua essenza.

Mi infilo in un viottolo e in cinque minuti ho raggiunto il nonno. Ha una casa molto diversa dalla mia. Le sue doghe, per quanto di un legno meno pregiato, sono sovrapposte con maggior cura, in modo che non entri l’acqua in casa. Il motivo? Semplice, se l’è costruita lui, mettendoci passione e lavorandoci giorno e notte. Ma i suoi sacrifici non sono stati vani e ora può godersi il caldo delle sue quattro mura anche nella stagione più rigida. C’è anche un camino in pietra che fuma a tutte le ore del giorno, creando quel tepore di cui solo il nonno può godere in tutto il paese. Do un’ultima occhiata alle montagne che circondano e in qualche modo delimitano il mio piccolo mondo ed ho l’impressione che siano degli immensi giganti dormienti, che custodiscono l’entrata del villaggio. Chissà cosa nascondono? So solo che, a meno che questi giganti non decidano di spostarsi di propria volontà, non vedrò mai i luoghi che si celano dietro le loro schiene. Fin da bambino mi è stato ripetuto fino alla noia che i sentieri che si inerpicano sulle montagne sono tortuosi e a tratti impraticabili. Tutti coloro che hanno tentato di oltrepassare il valico non hanno fatto più ritorno e quindi si è scelto di comune accordo di dichiarare la zona inviolabile. Nessuno ha mai ritrovato i loro corpi o una qualsiasi traccia, quasi che la terra li avesse inghiottiti. A me piace pensare che abbiano semplicemente trovato la via per sfuggire alle catene che ci tengono prigionieri nel nostro villaggio, e siano giunti in un nuovo mondo in cui ricostruirsi una vita. Anche io ho intenzione di scalare quei giganti. Poco o niente mi lega a questo luogo mesto ed ho intenzione di andarmene al più presto.

Tiro tre colpi al portone col batacchio e sono pronto a entrare.

“Chi è alla porta?” risponde il nonno con la sua voce roca. “Io nonno, sono Ivo”. La porta si spalanca tutto d’un tratto e ne emerge una figura alta, imponente come una statua: il nonno. Gli vado incontro per salutarlo e ricevo una pacca sulla spalla. Lascia un po’ di bruciore, ha mani molto grandi e forti, estremamente forti, ma ci sono abituato e apprezzo le sue pacche. È il modo con cui mi dimostra il suo affetto. “Nipote mio” tuona sull’uscio della casa. “Dovresti venire a farmi visita più spesso, ti ricordi di me solo quando hai bisogno di qualcosa, non è così forse?”. “Non dire così, ti ho fatto visita la settimana scorsa” cerco di replicare ai suoi rimbrotti. “Appunto, una settimana è tanto, sai quante cose succedono in una settimana?”. “Nel nostro paese? Ben poche nonno, quasi nessuna. Comunque ti volevo chiedere…”. “Entra, che ti preparo una tazza di latte, sei così pallido, come pensi di crescere se non mangi?”. “Nonno, ho sedici anni, dubito di crescere ancora. Comunque dammi pure il latte, quello lo accetto ben volentieri”. Sorrido. Ci ho guadagnato una seconda colazione. In effetti dovrei venire più spesso a fargli visita. “È della migliore qualità, è  prodotto dalle capre che pascolano ai piedi della montagna ad ovest. Ma veniamo al dunque, cosa mi stavi chiedendo?”. “Hai notato che tempo bizzarro che fa oggi? Cioè si, insomma, piove come sempre, ma è diverso… il terreno è meno bagnato, scendono meno gocce, insomma hai capito …” sputo fuori tutto d’un fiato. “Ah, vuol dire che qualcosa è cambiato, forse sta arrivando il sole. Chissà se vivrò abbastanza per rivederlo” commenta il vecchio esplodendo in una gran risata. “Nonno, dimmi la verità, cos’è il sole? E questa volta evitiamo gli enigmi”. “È difficile da descrivere, è un’immensa sfera di luce che brilla alta nel cielo, ma non è solo quello… bisogna viverlo per capirlo”.

Vado a casa con ancora più confusione, come fa una palla di luce a stare alta nel cielo? E perché per capire il significato del sole bisogna ‘viverlo’?

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