Keith Haring a Milano. E l’arte diventa “per tutti”

Di Beatrice Molfino

– dal 21 febbraio al 18 giugno 2017, il Palazzo Reale di Milano ospiterà una grande rassegna dedicata all’artista americano Keith Haring. La mostra comprenderà 110 opere, tra cui alcune inedite.

Ciascuna di esse verrà accompagnata dalle rispettive fonti di ispirazione dell’artista; da opere d’arte classiche, a creazioni degli indiani d’America, fino ad alcuni esempi di arte Novecentesca.

L’UOMO DIETRO I RADIANT BOYS

Come spesso capita nell’arte contemporanea, sono le opere ad essere celebri piuttosto che i loro artisti. In effetti le immagini di omini stilizzati in movimento, diventate ormai simbolo della pop art anni 80, ci sono, seppur inconsciamente, familiari.
Tuttavia per comprendere realmente il significato di questi disegni bisogna innanzitutto conoscere chi vi è dietro. Solo grazie alla biografia di Keith Haring possiamo realmente capirlo come uomo e artista.
Haring, nato nel 1958 in Pennsylvania e morto a New York nel ’90 appena trentenne, era certamente “figlio d’arte” infatti il padre era fumettista e fu uno dei suoi primi sostenitori. Joan Haring aveva infatti sin da subito intuito il talento artistico del figlio e non aveva esitato ad incoraggiarlo, realizzando per lui personaggi dei cartoni animati. Ed è forse proprio da qui che deriva lo stile, che talvolta può apparire infantile, di Keith. Uno stile caratterizzato da personaggi stilizzati e bidimensionali delineati da una linea di contorno molto spessa e dalla scelta di colori molto accesi e vividi che ricordano quelli utilizzati nella grafica pubblicitaria. Tuttavia attraverso figure apparentemente semplici come bambini, cani, piramidi, televisori, mostri o personaggi dei cartoons, Haring ci comunica messaggi molto più profondi in modo chiaro ed immediato. I temi sono vari e in gran parte riguardano la cronaca della sua epoca come l’apartheid, l’AIDS, il razzismo, le ingiustizie sociali, il capitalismo ma anche altri molto diversi come l’amore, la gioia e la felicità.

UN’ARTE PER TUTTI

Il modello perseguito da Haring è quello di un’arte “per tutti” con cui poter raggiungere il maggior numero di persone. La sua è perciò un’arte che non può essere limitata in un museo, che va al di là della singola mostra e che non si può comunicare tramite mezzi tradizionali. La sua tela non era solo quella comune ma bensì tutto ciò che avesse a portata di mano. Infatti dipinse su muri, vestiti, teloni in vinile, carrozzerie di automobili o plastica riutilizzata. Come detto, il sogno di Keith era quello di mettere le sue opere a portata di tutti, sogno che si realizzò con l’apertura a Soho del pop shop; un punto vendita di gadget, magliette e oggetti di ogni genere ritraenti alcuni dei suoi soggetti più celebri tra cui gli inimitabili “radiant boys”. Si può dire che oggi la sua arte faccia parte della nostra vita quotidiana, perché infatti la ritroviamo sugli oggetti più comuni come tazze o quaderni. Infatti Haring era certo che l’arte stessa fosse “vita” ed in effetti la sua vita, seppur fatta di eccessi ed esagerazioni, fu certamente consacrata all’arte.
« Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare » K.H.

UN’ARTE PER I GIOVANI

Egli fu sicuramente uno dei principali interpreti della street art metropolitana, uno stile apprezzato principalmente dai giovani.
Haring infatti ci comunica messaggi importanti in modo chiaro e diretto. Ed è proprio questo che spesso cerchiamo noi ragazzi; qualcuno che ci parli apertamente. Il segreto del successo dei suoi omini stilizzati sta quindi proprio nella loro universalità. L’idea di un arte a portata di mano e di tutti, è per questo certamente vincente.

Keith Haring a Milano. E l’arte diventa “per tutti”

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