#ShareTheStory/ Il Paese della Pioggia, Capitolo Terzo

di Alberto Zali

– Bentornati con ShareTheStory, la rubrica di Sharing che consente a tutti coloro che hanno una storia o un racconto nel cassetto di pubblicarlo direttamente sul nostro sito! Questa sera vi proponiamo la lettura del terzo capitolo de “Il Paese della Pioggia”, libro inedito di Alberto Zali, di cui precedentemente abbiamo pubblicato Prologo, Capitolo Primo e Capitolo Secondo. Non dimenticate di mandarci anche le vostre storie. Buona lettura!

Si può sentire sulla pelle, sulle guance rosee che vorrebbero sudare ma non possono, sulle labbra che da tizzoni infuocati si riducono a pezzi di marmo. Si può sentire nelle vene, nelle viscere. Si insinua in vite tranquille che mai avrebbero pensato di incrociare sul proprio cammino un tale pericolo. I primi alberi della foresta hanno indossato il proprio mantello bianco, si sono colorati di una calma stupefacente che gli altri alberi, più in basso, ammirano attoniti. Quanto vorrebbero avere un poco di quel pacato candore, quanto scambierebbero volentieri il proprio verde chiaro con un qualcosa di così elegante. Ma per loro gioia, non dovranno aspettare ancora molto, è questione di pochi anni, forse mesi e anche loro potranno avere il proprio mantello bianco. Ma non sono conifere, non sono sempre verdi, sono semplici querce e nonostante la saggezza accumulata durante la loro vita longeva non riescono a capire cosa comporti l’arrivo del gelo. Non sanno che la neve congelerà la loro linfa, li priverà delle foglie dai colori vivaci e felici, e li ridurrà a dei fusti senza vita. Ma non è per tutti così… alcuni lo intuiscono e cercano di ignorare il problema. Pensano che ignorandolo questo cesserà di esistere. E poi ve ne sono altri, che nonostante siano consci che l’arrivo del gelo comporterà la propria fine, ne sono attratti, sono attratti da questo mondo alieno all’apparenza così bello. E la neve continua a cadere e gli alberi continuano ad ammirarla, in un religioso silenzio pieno di stupore.

 

“Chi sei? E dove sono io? Questa non è casa mia… perché sono qui?”. Un guazzabuglio intricato di domande fuoriusciva dalla bocca di Ivo. Si sentiva confuso. Un turbine di ricordi vorticava nella sua mente senza che potesse riordinarli e dare loro un senso. “Ehi, calmati! E non fare così tante domande, che non riesco nemmeno a risponderti! Comunque mi chiamo Teresa, sono la figlia del capo villaggio”. “Teresa, di che villaggio parli? Nel mio villaggio non c’è un capo” continuò Ivo. “Ma infatti tu non sei di qua, sei uno straniero. E dai vestiti che indossavi posso dedurre che vieni anche da piuttosto lontano. Sarai un abitante delle terre a sud… Nessuno a parte mio padre le ha mai viste, comunque vieni sicuramente lì, a nord non c’è niente se non neve e ghiaccio”. La voce di Teresa squillava acuta nella stanza, arrecando non poco fastidio agli altri malati, che non erano abituati a così tanto baccano. “Le montagne…” sussurrò il ragazzo. I ricordi stavano di nuovo prendendo forma nitidi. Era bastata la parola “nord” a far ricordare a Ivo il nonno, il motivo per cui si era messo in viaggio, le montagne e ancora la pioggia. E in quel momento si era riacceso ancora più forte il desiderio di vedere il sole. “Si beh, le montagne, sei tonto o cosa ragazzo? Certo che la neve sta sulle montagne” rispose lei. “No, io devo raggiungere le montagne per vedere il sole, non capisci? Sono stufo della pioggia…”. “Sole, pioggia? E chi li ha mai sentiti, qui non c’è niente di simile. E poi tu vuoi andare nelle montagne, ma ma ma…! La gente scapperebbe dalle montagne, se solo mio padre non avesse emanato l’editto”. La faccia di Ivo assunse un’espressione perplessa. Si ritrovò a scrutare il volto della ragazza attraverso quella piccola fiammella che la illuminava a malapena. Doveva avere un volto strano e buffo per fare discorsi così strani e buffi. “Ma come, non sai cos’è la pioggia? Cioè capisco il sole che … beh … ma la pioggia! E poi perché devono scappare dalle montagne che stanno lì ferme, mica li inseguono? Ma siete tutti matti qua”. Teresa scoppiò a ridere, fra le imprecazioni e i vari “eh basta!” degli altri malati. A Ivo parve una risata strana, non ne aveva mai sentita una così squillante, sembrava avere in sè un qualcosa di vivo e ancora di buffo. “Ma matto sarai tu che ti inventi le parole e capisci fischi per fiaschi. Non sono mica le montagne la minaccia… è il freddo il problema! Ma dove hai vissuto fino ad ora? Sei tonto come pochi altri, andresti d’accordo con quel topo da alberoteca di Luigia”. “Matta sarai tu, hai la voce simile a quella di una tortora nel periodo dell’accoppiamento”. “Ma zitto, che il cervello ti si è sciolto durante l’incendio”. “Incendio? Che incendio?” chiese Ivo perplesso. “Visto? Cosa ti ho detto, non si è solo sciolto, è addirittura evaporato!”. “Ah, fatto sta che tu hai comunque la voce da tortora”, rispose Ivo con una risata che finì per contagiare anche la ragazza. Fece per alzarsi dalla branda quando gli ritornarono improvvisamente alla mente le immagini dell’incendio cui era miracolosamente scampato. Avvertì un’ondata di calore intensissima, quasi che le fiamme che gli avevano ustionato parte del viso fossero ancora lì e cercassero di avvolgerlo. Un urlo di terrore e di dolore risuonò nella stanza. Ivo sentì la vista annebbiarsi e gli sembrò che l’ambiente circostante perdesse consistenza fino a ridursi ad uno sfondo grigio e confuso.

 

“Ehi Teresa, dove sei stata tutto questo tempo? Ti avrò detto un migliaio di volte che mi devi avvisare prima di uscire… cosa penserebbe la gente di me se non riuscissi nemmeno a governare mia figlia?” tuonò il padre sbattendo con violenza il pugno contro la parete della capanna-albero. Se aveva voluto darsi un’aria autorevole e magari anche un po’ minacciosa non era riuscito nel suo scopo. “Papà dai, ho quasi diciotto anni… e cosa vuoi che pensino? Te lo dico io… che hai una figlia autonoma e responsabile” rispose a tono la ragazza. Era abituata alle sfuriate del padre, che per certo non la spaventavano. ‘Can che abbia non morde’ diceva un vecchio proverbio del suo villaggio, e il padre di Teresa sembrava voler tener fede a tutti i costi a questo modo di dire. E poi le voleva un mondo di bene. Dopo la scomparsa della moglie le era rimasta solo lei. “Diciotto anni! Diciotto anni non sono niente, io non sono stato capace … eppure avevo quarant’anni ed ero nel pieno delle forze. E tu ti ritieni grande…”. La sua voce si era fatta sommessa. Sentiva che le lacrime stavano per sgorgargli a fiotti dagli occhi, così tante da allagare l’intera valle. Aveva dieci anni di lacrime racchiusi in quegli occhi, quei dannatissimi occhi coperti da un velo di tristezza che si rifiutavano di piangere.

“Ascolta papà, devi smetterla di tormentarti… non potevi farci nulla. In un primo momento ti ho odiato, pensavo che tu dovessi proteggerla, impedirle di perseverare nei suoi sogni, tarparle le ali. Ma poi finalmente ho capito… lei non era felice e ha pensato di cercare questa felicità altrove. Credevo fosse tua la colpa, tua che non avevi saputo amarla abbastanza. Ma guardati… sono stata una stupida a non capire quanto soffrissi… hai continuato a cercarla per tutto questo tempo, mascherando lo scopo dei tuoi viaggi, facendo credere a tutti che lo facessi per dare agli abitanti del villaggio una qualche possibilità di sopravvivere al gelo. Ho anche pensato che in realtà tu cercassi la morte. Ma questo non significa che mi devi rinchiudere in una campana di vetro. Devi lasciarmi libera, fidarti di me, perché ti giuro sulla mamma che io non ti abbandonerò” disse, mentre anche i suoi occhi verdi si velavano a poco a poco di un mare di lacrime. “Non capisci proprio niente. Se me ne sono andato è stato sì per tua mamma, ma anche per te. Le ho promesso che ti avrei protetto e non lascerò che il gelo ci annienti”. “Oh papà, ma il gelo ci raggiungerà solo fra una cinquantina d’anni…”. “Forse, Teresa, forse non ne passeranno nemmeno cinque … la situazione si sta facendo terribile! Ma ora fammi ricomporre … Non voglio che qualcuno mi veda in queste condizioni. Ne andrebbe della mia autorità e…”. “Oh finiscila papà, metti nel cassetto questa aria da duro”, lo interruppe Teresa abbracciandolo, mentre il padre, per la prima volta dopo molti anni, abbozzava un sorriso.