POVERA PATRIA/Il canto politico di Franco Battiato

Tra i più grandi artisti italiani viventi, dobbiamo certo annoverare Franco Battiato.

Filosofo, cantante, regista, pittore, politico, Battiato è il tipico intellettuale attento ad ogni campo artistico, che non tralascia però la politica e l’impegno sociale.

Ne sono testimonianza molte sue famose canzoni, come Bandiera Bianca, dove il cantante catanese, da un ipotetico palco rialzato, usa un megafono per arrendersi, sventolando appunto bandiera bianca alla corrotta società legata solo al denaro.

Povera Patria:

Povera Patria è un brano di grande spessore politico, contenuto nel disco del 1991 Come Un Cammello In Una Grondaia.

Quest’album, che vendette più di 250.000 copie, venne indicato come migliore disco dell’anno e Povera Patria fu premiata con la “Targa Tenco”, uno dei più prestigiosi premi musicali in Italia.

In questa canzone, Battiato attacca la casta politica italiana e gli italiani stessi, commentando i fatti a lui contemporanei con la solita eleganza e pacatezza che lo contraddistingue.

Importante, per l’anno in cui venne incisa (1991), è l’uso della parola “Patria”, fino ad allora quasi del tutto scomparsa nell’arte e nella politica, a causa delle orribili conseguenze a cui quella parola aveva portato durante il primo Novecento.

È Battiato uno dei primi a ridare nuove vita e nuovo significato alla parola “Patria”.

Il testo:

Con parole del tutto inusuali ad una canzone, Franco Battiato dedica la prima strofa di Povera Patria ai politici che, potendo fare tutto, schiacciano con la loro fame di potere lo Stato che invece dovrebbero amministrare:

Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame, che non sa cos’è il pudore,
si credono potenti e gli va bene quello che fanno;
e tutto gli appartiene.

Dopo aver attaccato di nuovo la casta dei politici, il cantante catanese si rivolge ai governati, ai suoi fratelli concittadini che non hanno voce nelle decisioni di palazzo. Riferendosi ai morti di mafia che, ai tempi in cui venne scritta la canzone, affollavano le vie, Battiato chiede ai suoi connazionali perché sembrino così indifferenti di fronte alla morte altrui:

Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni!
Questo paese è devastato dal dolore…
ma non vi danno un po’ di dispiacere
quei corpi in terra senza più calore?

Nel ritornello, il cantante catanese esprime un timore personale, cioè che nulla cambi; ma nel secondo verso compare una piccola luce di speranza:

Non cambierà, non cambierà
no cambierà, forse cambierà.

Battiato prosegue l’invettiva contro i propri connazionali, da lui accusati di iniziare inutili risse negli stadi e di diffondere odio tramite i giornali. I suoi concittadini vengono definiti maiali che con uno stivale (simbolo dell’Italia stessa) affondano nel fango, metafora del male da loro stessi creato. Alla fine della strofa, il cantante ammette di vergognarsi delle umili condizioni in cui si trovano molti suoi fratelli:

Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali?
Nel fango affonda lo stivale dei maiali.
Me ne vergogno un poco, e mi fa male
vedere un uomo come un animale.

Nel secondo ritornello, il cantante modifica in parte quanto detto nel ritornello precedente: pur rimanendo il timore che nulla cambi, lo spiraglio di speranza ha ora più vigore:

Non cambierà, non cambierà
sì che cambierà, vedrai che cambierà.

Nel finale della canzone, Battiato cavalca l’onda di speranza appena aperta e spera di vivere abbastanza da vedere un cambiamento. Tuttavia, il verso finale riporta alla realtà dei fatti: nonostante la speranza appena espressa, la primavera (metafora della nuova vita, del cambiamento) tarda ad arrivare:

Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature
se avremo ancora un po’ da vivere…

La primavera intanto tarda ad arrivare.