BOSNIA/Una catastrofe umanitaria

In Bosnia e Erzegovina migliaia di migranti si ritrovano a vivere in mezzo alla neve e a temperature che arrivano fino a 20 gradi sotto zero, in alcuni casi a piedi scalzi e con un abbigliamento inadatto. Le loro case sono nella migliore delle ipotesi piccole tende, nella peggiore coperte stese per terra nei boschi al confine con la Croazia. Una situazione che non è nuova, ma che è diventata di attualità dopo l’incendio che il 23 dicembre ha distrutto il campo profughi di Lipa e ha lasciato migliaia di migranti senza un punto di riferimento.

Una situazione precaria da tempo

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni aveva preso la decisione di chiudere il campo di Lipa per il pessimo stato in cui era tenuto dai suoi gestori. L’incendio ha velocizzato il processo di sgombero, ma il problema è che ai migranti non è stata trovata alcuna soluzione di alloggio alternativa. Da allora sono rimasti senza un posto in cui vivere e senza nulla: nonostante di recente siano state montate alcune tende riscaldate, che bastano soltanto per poche centinaia di persone, la neve e le temperature molto rigide stanno complicando la situazione.

Una mancanza di assunzione delle responsabilità

L’Unione europea punta il dito contro le autorità bosniache, accusate di aver ricevuto molti finanziamenti in questi anni per predisporre soluzioni di accoglienza ma di non aver fatto nulla anche a causa delle proteste delle comunità locali. Sarajevo invece sottolinea l’impossibilità di assumersi tutto il peso della rotta balcanica. È un passaggio di responsabilità che è sempre più comune quando si tratta di politiche per la gestione dei flussi migratori e dell’accoglienza in Europa e, ovviamente, la verità sta nel mezzo. Se è vero infatti che la Bosnia sta gestendo in modo disumano la tragedia in corso, è innegabile che una parte delle cause del problema vada cercata più in alto, cioè a Bruxelles. L’Unione Europea non può pensare che contribuire economicamente sia il modo con cui chiudere la pratica migratoria e sentirsi con la coscienza a posto. Il problema sta a monte, cioè nel modo in cui a queste persone viene negata ogni libertà di movimento, facendole scontrare contro un muro che, anche se non si vede, appare insormontabile.

La situazione disastrosa in Bosnia è dettata sì dal fatto che le autorità locali non sono state in grado di mettere in piedi politiche di accoglienza dignitose, ma anche dai respingimenti spesso violenti effettuati dalla Croazia, che a differenza di Sarajevo fa parte dell’Unione Europea. Il problema, quello vero, è che ancora una volta manca una politica coraggiosa e condivisa a livello di Unione europea per affrontare la sfida umanitaria. Finché i respingimenti saranno la norma, la situazione continuerà a peggiorare e nessun finanziamento potrà mai cancellare tutto questo.

Il contributo della Caritas Italiana

La Caritas Italiana, in collaborazione con altre realtà non profit presenti sul posto, è impegnata nella distribuzione di cibo e di abbigliamento invernale (scarpe, giacche a vento, sciarpe, cappelli) e soprattutto di legna da ardere, per consentire ai migranti di scaldarsi. Questi aiuti sono resi possibili grazie alla solidarietà mostrata da molte persone ed organizzazioni che in questi giorni stanno contribuendo alla raccolta fondi necessaria proprio per l’acquisto di beni essenziali per la sopravvivenza di queste persone. «Le persone in transito lungo la Rotta Balcanica – ricorda la Caritas Italiana – sono infatti spesso in fuga da scenari di guerra e persecuzione, ed hanno pieno diritto alla protezione internazionale».

Di fronte alle foto e ai video che ci arrivano dall’inverno balcanico, ma anche davanti alle continue tragedie che rimbalzano tra il mar Mediterraneo e i campi di prigionia libici, non si può continuare a voltare lo sguardo dall’altra parte.