MULTINAZIONALI & DEMOCRAZIA/Il triste declino del “sogno digitale”

Nelle ultime ore abbiamo assistito a un evento senza precedenti: durante la riunione del congresso per la certificazione del nuovo presidente Joe Biden, alcuni manifestanti pro-Trump, hanno fatto irruzione nel complesso di Capitol Hill, provocando, per tre ore, puro scompiglio e l’immediata risposta delle forze armate. Il tutto ha causato la morte di 3 persone e numerosi arresti. Non è mancata la risposta di Donald Trump sui social, dove sì, invitava i manifestanti ad andare a casa, ma implicitamente condogliava il gesto, ribadendo il broglio elettorale, mai comprovato, avvenuto, per il tycoon, durante le elezioni dello scorso novembre. Ciò ha provocato una risposta dei Social stessi che hanno provveduto nel bloccargli gli account di Facebook e Twitter. Una censura pesante proprio a quei social che hanno determinato e caratterizzato la campagna elettorale di Trump.

Queste vicende rendono lampante l’ormai indelebile relazione tra social e politica.

La protesta di questa notte ha proprio origine sui social. Essi sono uno strumento relativamente inedito per misurare l’opinione pubblica, leggere i trend topic e analizzare i dati: sono come sondaggi in tempo reale su qualunque argomento, che possono essere considerati socialmente rilevanti. I politici analizzano questi dati e li usano per impostare la loro campagna elettorale permanente. Tutta la retorica politica contemporanea è fatta di Slogan che cavalcano l’emozione del momento. Perché? Beh nel breve tempo paga.

Ma da cosa derivano questi meccanismi?

Per prima cosa i Social Network radicalizzano l’utenza. E questo non dipende dai politici, ma dalla struttura algoritmica delle piattaforme. Nel momento in cui veniamo profilati dalla piattaforme, il tenore dei post che compaiono nel nostro feed viene calcolato su un parametro in particolare: l’algoritmo. Ci vengono proposti post che confermano il nostro pensiero, alternati da alcuni post decisamente contrari alle nostre idee, con il preciso intento di suscitare nell’utente indignazione. L’utenza che litiga sui social è la fortuna delle aziende che li gestiscono. Per seconda cosa, la comunicazione contemporanea, premia la sintesi estrema, la viralità, lo slogan vuoto ma efficace, e Trump non “usa” i Social male: Trump è la conseguenza della retorica dei social, e che adesso venga censurato è altrettanto ridicolo e ipocrita. Trump nel suo delirio di onnipotenza, ha cercato in questi mesi qualunque appiglio per restare alla Casa Bianca, cavalcando una retorica cospiratoria e complottista, che prolifica nel mondo di internet e che, secondo il meccanismo stesso delle piattaforme digitali, è molto difficile da eradicare. L’elemento inedito della questione è che uno dei politici più importanti al mondo ha assorbito nella sua campagna elettorale gruppi pericolosissimi di estremisti e radicali. Siamo di fronte al fallimento totale del “sogno digitale” e ciò che abbiamo visto al Campidoglio è solo un’immagine più limpida della “vera democrazia” di internet, difendendo ad armi spianate una realtà funzionale a ciò che viene scelto come verità o post. Se non veniamo alla conclusione che i Social sono la nostra cultura contemporanea, e iniziamo quindi a coinvolgere le aziende della Silicon Valley in un dibattito filosofico, sociologico, e soprattutto educativo, quindi iniziando anche a parlare di un percorso di educazione digitale per l’utenza, le scene come queste saranno, molto presto, la nostra nuova realtà.

 

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