ALCUNE PICCOLE COSE/4- La fine delle feste ci rimette di fronte alla tristezza per le cose che passano, una tristezza sana che è inizio di saggezza

Non so se capiti anche a voi, ma a me succede: le feste di Natale sono sempre un’occasione per rivedere persone, stare in compagnia, gustare del tempo in un modo diverso dall’ordinarietà dell’anno sociale. Eppure tutto questo bene, questo affetto che mi arriva gratuitamente, non è capace di scacciarmi da addosso una certa solitudine, una certa distanza, una certa ultima tristezza che avverto in fondo alle cose. Per molto tempo ho pensato che questo fosse uno stato di cose da dover superare, da dover guarire, adesso percepisco che avvertire una simile distanza è indice di sanità mentale e di sanità del cuore. Non tanto perché ciascuno di noi sia condannato alla solitudine: questo non è vero e basterebbe poco per rendersene conto, ma perché questa ultima distanza – questa ultima tristezza – riconferisce alle cose il loro vero valore, ossia quello di essere delle compagne di viaggio, delle compagne di cammino. Capita spesso di pensare che le persone che amiamo, le cose che possediamo, i sentimenti che proviamo siano il nostro viaggio, mentre invece il nostro viaggio è qualcosa di intimo, personale, che avviene dentro di noi. E’ una cosa cui tengo molto questa, ed è forse la scoperta più importante che ho fatto in questa prima parte degli anni trenta della mia esistenza: le cose non ci sono per rimanere, ma per passare, per essere salutate, e noi ci prepariamo troppo poco a salutarci. La tristezza che si prova sul finire delle feste è così il segno più potente che esiste qualcosa di nostro che è indipendente da chi amiamo e da chi è compagno di viaggio: siamo noi, noi che passiamo e che – passando – siamo chiamati ad essere onorati della presenza della realtà e a impararci a congedarci da essa. La vita arriva, sta con noi un po’ e poi riparte: ce lo insegnavano tutte le favole di quando eravamo bambini, ma forse questo è l’aspetto che abbiamo voluto imparare ed approfondire di mento, perché l’idea di ripartire – nel nostro sentire occidentale – coincide sempre con l’idea di perdere, mentre invece non è così: il fatto che le cose ripartano, che le persone ci lascino, che la vita riprenda la sua strada, fa sì che quello che ci è stato donato in quel rapporto sia per sempre, diventi intima coscienza che cambia la vita. E che ci fa percepire ogni tristezza come l’opportunità di essere liberi, innamorati e liberi. In una parola: grati. Senza che i capricci determino il nostro modo di essere e di amare.