Scienza e realtà

di Elena Rovetta

– Durante il quinto anno di liceo il programma scolastico si concentra soprattutto sugli avvenimenti, correnti di pensiero e teorie di fine Ottocento e inizio Novecento. Da subito appare chiaro come in questo periodo fosse presente un sentimento di “crisi” che invadeva più campi: quello economico, esistenziale, sociale e addirittura scientifico.

La crisi della scienza

Per quanto riguarda quest’ultimo è interessante notare il fatto che la crisi fosse dovuta allo sconvolgimento di alcune teorie scientifiche, il che significa quindi arrivare anche a mettere in dubbio lo stesso metodo scientifico. Infatti Einstein, sostenendo che la gravità non è una forza esterna come Newton aveva dimostrato, bensì una conseguenza necessaria dovuta alla curvatura della rete spazio/temporale causata dalla massa dei corpi, ha messo in crisi le quattro fasi sperimentali del metodo sperimentale. Fasi che tutti i suoi predecessori (compreso il grande fisico sopra citato) a partire da Galileo conoscevano: osservazione, ipotesi, sperimentazione, formulazione della teoria. Questo perché andò contro ciò che prima era stato sperimentato e confermato.

Ma cosa comporta il mettere in dubbio tale sistema? Apparentemente potrebbe sembrare una semplice “rivalutazione” sul metodo da utilizzare. In realtà, poiché il suo punto di partenza è proprio l’esperienza empirica, questo comporta il sottoporre ad analisi l’intero nostro sistema di conoscenza.

Conoscere la realtà

Se infatti la realtà non è quella che ci appare, come la scienza ci aveva sempre fatto pensare, qual è il modo giusto per conoscerla? Un dibattito che pervade tutto il XX secolo è proprio quello che riguarda la strada da  intraprendere per conoscere il mondo: via razionale o via irrazionale? Ognuno ha cercato di rispondere a questo quesito a suo modo.

È proprio per questo  che tra l’Ottocento e  il Novecento nacquero correnti di pensiero filosofiche che si contraddicevano a vicenda: Idealismo, Positivismo, Spiritualismo, Esistenzialismo, Neopositivismo… Ognuna di queste intraprendeva una delle due vie della conoscenza.

Durante l’anno ho deciso di pormi questa domanda e cercare di dare una risposta, valida per me, per comprendere anche quali scelte fare per il mio futuro prossimo, ossia l’università. So bene che la mia idea potrebbe cambiare nel corso degli anni, ma per ora la via per me più corretta per approcciarsi alla conoscenza del mondo è quella scientifica.

Il razionale e l’irrazionale

Non significa che la parte irrazionale dell’uomo sia insignificante; anzi, la considero la parte essenziale per dare vita all’arte e anche ai rapporti umani, necessari, secondo me, in quanto l’uomo è un “animale sociale”. Tuttavia, la scienza non cerca di dare spiegazioni certe su cose che noi non possiamo conoscere empiricamente. È come se essa riconoscesse i limiti della ragione e non cercasse di oltrepassarli. L’uomo, infatti, non è nato per conoscere tutto: è solo una tra le tante specie, in uno dei numerosissimi pianeti, all’interno di una delle tantissime galassie in un Universo di cui non conosciamo neanche i confini.

Nel mondo sensibile la scienza è in grado di proporre certezze. Se lancio una mela questa cadrà (ovviamente fino a quando il campo gravitazionale terrestre non crollerà). Anche chiedersi se esiste una realtà che va oltre le nostre possibilità sensibili può essere un buon modo per sopravvivere, ma di certo non può trovare mai risposta. Mi sembrerebbe inutile dedicare la mia esistenza a cercare qualcosa che so che non troverò mai, soprattutto se so che in questo modo non sarò mai effettivamente utile al resto della mia specie.

La parte irrazionale, nonostante ciò, contribuisce a renderci umani. Per questo motivo a chi potrebbe sostenere che io sia contro ogni tipo di arte o emotività ribatterei che essa è uno dei migliori prodotti dell’uomo. Nel campo della conoscenza, però, ritengo che la scienza sia il miglior mezzo da seguire.

Il linguaggio della scienza

È sulla base di questi ideali che la mia scelta è ricaduta sull’ambito scientifico. Quale, poi, fosse la branca che avrei voluto intraprendere è stato un quesito che mi ha richiesto più riflessione e tutt’ora mi tormenta. La fisica, la madre delle scienze, è quella in cui più si realizza la comprensione del mondo e che più mi affascina; probabilmente sarà la mia scelta finale. Qualcuno potrebbe contestarmi il fatto che la scienza si basa sulla matematica: un linguaggio che ancora oggi fa sorgere il dubbio sulla sua provenienza. È stata inventata o scoperta?

Questo quesito, probabilmente, non sarà mai risolto poiché sarebbe necessario estraniarsi dalla esperienza umana per elevarsi a una capacità di conoscenza esterna e superiore. Insomma, sarebbe necessario non essere umani.

Tuttavia la matematica, qualunque sia la sua origine, funziona. Ci consente il progresso, ci fornisce spiegazioni e ci permette un’analisi corretta della realtà. Per questo ho il desiderio che questa diventi per me il linguaggio quotidiano, la mia seconda lingua. D’altronde è la lingua più vera e universale che esista. Che tu sia italiano, cinese, bianco, nero, cercando di spiegare il mondo, ti servirai della matematica. Se poi questa sia una lingua che comprenderebbero anche gli “alieni” non importa. Kant direbbe che questo dipende dalle categorie che questi hanno, ma  comunque non importa perché  noi umani ci troviamo tutti nella stessa condizione.
Comprendere il mondo è uno dei desideri più forti che ho e siccome la scienza per me è lo strumento più giusto ed esatto da utilizzare a questo scopo, scelgo un futuro dedito alla scoperta scientifica.

Dall’anno prossimo la scienza sarà il mio campo, la matematica la mia lingua, la conoscenza la mia meta.

Scienza e realtà

SARO’ a giurisprudenza