DAD/La didattica in presenza è veramente migliore?

In quest’ultimo anno, tutti gli studenti e insegnanti d’Italia si sono dovuti confrontare con la Didattica a distanza (DAD), e, di conseguenza con i nuovi mezzi tecnologici ideati negli ultimi anni. Per molti alunni e professori, fra quest’ultimi specialmente nei casi in cui l’abitudine a usare la tecnologia è minore, magari a causa dell’età, si sono create problematiche legate all’utilizzo di questi mezzi. La domanda sorge spontanea: il problema sono le persone che hanno poca confidenza e dimestichezza con i mezzi, o sono i mezzi utilizzati ad essere poco intuitivi? Forse entrambe, ma l’unica sulla quale si può agire nell’immediato è la seconda: l’intuitività delle piattaforme scelte.

Software come “Zoom”, per esempio, forse potrebbero risultare poco intuitivi a primo impatto, e inoltre, il beneficio che ne si può trarre è limitato, quando esistono altre piattaforme, magari più intuitive oppure sullo stesso piano, che danno la possibilità di rendere la DAD più interattiva poiché impostate in modo diverso. Per fare un esempio e rendere tutto più chiaro, potrei citare “Discord”, un software con un linguaggio piuttosto informale, quindi forse non adatto all’insegnamento per certi punti di vista, ma sicuramente esemplare per quanto riguarda l’impostazione grafica: in un unico “server”, quindi un unico sistema che gestisce tutti i dati, al cui tutti i partecipanti, i quali possono essere selezionati dal proprietario del server, possono accedere, sono presenti vari canali vocali e scritti creati dal proprietario, nei quali si può entrare e che possono essere, in questo caso, adibiti a ciascuna materia, insomma, una sorta di classe virtuale con all’interno altre classi alle quali si può accedere nell’orario di lezione a tempo illimitato, rimuovendo il procedimento degli ID e password per accedere ad ogni lezione, e unendo il tutto in un unico sistema, nel quale si può entrare accedendo alla piattaforma. In questo modo, si otterrebbe anche un contatto più diretto per le comunicazioni fra studenti e insegnanti grazie alle chat scritte, che si possono utilizzare in ogni momento. Per lo più, il tempo necessario alla trasmissione via rete della nostra voce sotto forma di pacchetti di dati (ping), in questo caso su “Zoom”, è molto più elevato rispetto ad altre piattaforme molte conosciute e simili, come per esempio “Google Meet”, il ché impedisce una comunicazione più veloce e diretta necessaria in DAD. La fonte del problema può riguardare la disinformazione riguardo alle mille altre opportunità che si possono offrire, le cui possono creare un ambiente più confortevole per studenti e corpo docenti, permettendo più continuità fra lezioni e comunicazioni riguardanti compiti, interrogazioni, dubbi e così via.

Tutto ciò porta ad un calo la qualità di apprendimento da parte degli studenti, e quindi l’efficienza dell’istruzione da parte degli insegnanti, ma si tratta solo dei mezzi tecnologici? Si sa che l’obbiettivo dell’istruzione è quello di sviluppare in ogni individuo la consapevolezza e lo spirito critico necessario ad affrontare il proprio futuro: le materie umanistiche permettono di comprendere gli altri, i loro pensieri e sentimenti, sui quali si possono elaborare i propri, e le materie scientifiche, invece, spiegano come sia possibile relazionarsi con il mondo attorno a sé e come sia fatto. Entrambe forniscono consapevolezza riguardo i propri limiti in quanto essere umano e individuo. Di tutto questo, ogni persona ne trae un’elaborazione personale sulla quale pone i propri obiettivi di vita essendo conscio dei limiti e dei rischi che percorrerà. Ma se l’istruzione ambisce a tanto, perché molti ragazzi e ragazze hanno una tendenza ad abbandonare gli studi e spesso a ritenerli inutili? Questa ipotesi, dal mio punto di vista, trova in parte verità nel corso dei mesi passati in DAD, dove, studiando da casa, si evitano molte dinamiche dettate dalle regole, evidenziando così il poco valore che viene spesso attribuito allo studio dagli alunni. Gli studenti, quindi, è possibile che in presenza adottino una condotta adeguata non perché ritengano sia giusto, ma solo perché ne temono le conseguenze. La vera domanda è: il problema è della didattica a distanza, o dell’istruzione a livello più ampio? Dal punto di vista delle famiglie e della società, si cerca di individuare maggiormente i punti di forza di un alunno, o piuttosto a prepararlo solamente alla vita lavorativa, senza, per altro, dargli i mezzi per comprendere i propri talenti, e quindi ti trovare un lavoro a lui conforme?

In parte, il problema è legato ai mezzi tecnologici, ma dall’altra, le tendenze che gli studenti mostravano in presenza si sono riconfermate ampiamente e in forma più decisa via DAD, e si può concludere che il problema sia anche legato alle modalità di istruzione. La condizione alla base per trasmettere l’idea di consapevolezza, libertà e pensiero critico, è la comprensione di quanto spiegato in classe, senza la quale non si può accedere a ciò, ma questo dipende dalle modalità e intenti con i quali un professore insegna, che, per ovvie ragioni, non devono e non possono essere controllate, quanto più credo debba essere controllata la loro assunzione. Con questo, non intendo che la maggior parte degli insegnanti non sappia comunicare ai ragazzi, ma sicuramente ne esiste una parte, e anche se minima, è un punto sul quale si può agire, siccome l’accesso alle graduatorie non prevede alcuna verifica delle modalità e gli intenti con le quali si comunica e insegna una materia. Il problema, infatti, non sorge solamente nelle modalità di insegnamento di ogni professore, che possono essere molto varie e singolari, ma più nella forma di insegnamento che la scuola italiana adotta da moltissimi anni: si apprende, e di conseguenza si ripete ciò che si è appreso, proprio per preparare al senso del dovere nell’ambito lavorativo, che a mio parare, sorge nel momento in cui si lavora in un ambito a cui si tiene particolarmente, e quindi ritenuto interessante. Attraverso questa modalità, che esclude i casi nei quali gli insegnanti non si limitino a ciò ma stimolino un pensiero critico e delle riflessioni legate al giorno d’oggi o alla quotidianità, gli studenti non hanno i mezzi, e per mezzi si intende il poter comprendere di sé stessi, le proprie abilità e le proprie passioni, per capire il perché si studia, con una conseguente svalorizzazione di quest’ultimo, dovuta all’obbligo di dover svolgere costantemente ciò che non interessa, o meglio ciò che non riesce a diventare interessante e stimolante.

Che siano le famiglie, i mezzi di comunicazione, come social media o televisione, quindi a livello più ampio tutta la società, o la scuola stessa, si dovrebbe rendere più noto agli studenti il motivo per il quale si studia, per esempio, legando avvenimenti passati ad avvenimenti presenti, oppure presentando prima la parte concreta e tangibile che tutti possono vedere per interessarsi, per poi sfociare nel teorico e nell’approfondimento di tali argomenti, così che tutti abbiano i mezzi necessari a comprendere che la consapevolezza che possono ottenere la utilizzeranno durante tutta la vita, capendo chi sono, in che cosa sono più portati, cosa li affascina di più, e avendo la mente sempre pronta ad analizzare in modo critico ciò che si porrà davanti.

Concludendo, riguardo alla DAD si potrebbero adottare o sperimentare nuove piattaforme per rendere più gradevoli le ore passate davanti allo schermo per tutti. Riferendomi, invece, all’istruzione più generalmente, l’ideale sarebbe proporre ai ragazzi lo studio come qualcosa di interessante, che possa stimolare al pensiero, che possa far loro provare emozioni, che possa rendere affascinante ciò che viene trattato in classe, non avendo così bisogno dell’obbligo, o ancor peggio, della verifica delle proprie conoscenze in base all’obbligo dato. Questo è compito di tutti, sia delle famiglie, che della società e degli insegnanti; fra questi ultimi ce ne sono molti già attivi in questo senso, poiché essendo più coinvolti nell’ambiente possono comprendere le reali dinamiche di ciò che accade e agire di conseguenza. Sembra un’utopia, un sogno lontano, che poi così lontano non è, perché se tutti ci unissimo verso quest’obiettivo, la scuola non verrebbe più considerata, come lo si fa spesso, noiosa, inutile e marginale, ma diventerebbe un luogo interessante, funzionale e, magari, divertente.

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