Bufera sui licei D’Oria e Parini. È davvero classismo?

Di Alberto Zali
– Accesissima è la polemica circa le parole utilizzate dai licei classici Andrea D’Oria di Genova e Parini di Milano nella compilazione dei rapporti di autovalutazione. “Gli studenti del classico hanno, per tradizione, apparenza sociale più elevata. Ciò nella nostra scuola è molto sentito”. E ancora: “L’assenza di gruppi particolari, ad esempio nomadi o provenienti da zone svantaggiate, dà un background favorevole”.

Un report offensivo il cui linguaggio – come ribadisce la ministra Fedeli – non può che essere stigmatizzato. Il linguaggio o il contenuto? Talvolta, ho come l’impressione che la follia del politically correct spinga molti di noi a travisare le parole altrui. I termini utilizzati dai due licei, per quanto autoreferenziali e forse anche un po’ spinte, descrivono la realtà concreta dei fatti: l’ambiente di studio è indubbiamente positivo e stimolante. Il liceo è mediamente frequentato da ragazzi che non vivono in condizioni di totale povertà. Ne consegue verosimilmente un minor tasso di delinquenza, un sentimento di vicinanza nei confronti della cultura maggiormente coltivato. Non è discriminazione nei confronti di quanti non hanno avuto le medesime opportunità, che – tengo a ricordarvi – in parte frequentano, spinti da una giusta e ammirevole ambizione, i medesimi licei. È una semplice considerazione statistica: improbabile che, cresciuto lontano da questo “mondo” e disinteressato a questo mondo, un ragazzo scelga di intraprendere un percorso che difficilmente offre sbocchi diretti sul mondo del lavoro. Tanto di cappello a coloro che lo fanno! ma non proiettamo i nostri utopici ideali di pari opportunità in una realtà che ancora non è in grado di garantirceli. Il nostro scopo è quello di rendere il liceo una scuola alla portata di quanti abbiano voglia di studiare e di investire sul proprio futuro. Nondimeno, non è il livello del liceo a doversi adeguare, bensì quello dei frequentanti. Allora lo stato deve impegnarsi nel garantire loro un certo welfare ed un ambiente propedeutico favorevole, invece di illuderli che sia tutto facile, che chiunque possa frequentare un liceo.
Qual è il problema? Quando qualcuno dice queste cose viene additato come classista, privo di valori che non vertano attorno al denaro e alla provenienza sociale. Non è così: siamo noi gli artifeci della nostra vita, non le nostre famiglie – questo è vero ed indiscutibile; eppure filantropo non è chi finge vada tutto per il meglio, ma chi guarda in faccia i problemi e li affronta. Ad oggi, il “classismo” esiste perché il nostro paese non è in grado di far fronte a povertà, immigrazione, diseducazione. Molto è lasciato a sé stesso. I poveri restano poveri. Quanti accogliamo hanno difficoltà ad integrarsi. Sommersi da necessità ben più gravi ed impellenti, costoro sono i primi a mettere – comprensibilmente – in secondo piano la cultura. Ed il problema non sono i classisti. Il problema non sono i licei che raccontano ciò che vedono con i propri occhi. Il problema non sono genitori ben entusiasti di mandare i propri figli in ambienti sicuramente più felici.
Orgoglio da classicisti le affermazioni del D’Oria e del Parini? Forse, ma più probabilmente parole sentite; pensare che il primo si sia sentito costretto a ritrattare quanto detto è la faccia peggiore della medaglia. Perché dobbiamo essere protetti? Perché dobbiamo indorare la pillola invece di digerirla e provare a guarire? A me sembra che sempre più spesso varchiamo, ormai inconsciamente, il muro dell’ipocrisia. E l’ipocrisia sfocia in violenza, l’abbiamo visto tutti.