La scuola italiana affonda come Atlantide: dove abbiamo sbagliato?

Di Alberto Zali

– La scuola italiana è senza ombra di dubbio in seria difficoltà. Come sempre, laddove sono presenti difficoltà che potrebbero sembrare insormontabili, coesistono anche schiere di opinionisti e tuttologi pronti ad elargire soluzioni facili e dirimenti. Grazie a questi pronti interventi, che nessuno esiterebbe a definire geniali se non addirittura provvidenziali, è nata una key-word attorno alla quale si sviluppa il nuovo metodo di insegnamento. Stiamo parlando delle “competenze”!

Un’ideologia distorta e le sue conseguenze

Ma cosa siano di preciso queste competenze è ai più materia ignota. È così che alla parola competenze vengono associati compiti quali sapere realizzare un cartellone, effettuare una ricerca (che il più delle volte si limita ad un copia-incolla da Wikipedia), oppure la capacità di lavorare in gruppo valorizzando le potenzialità di ciascuno. Insomma, non esistono più concetti quali formazione, apprendimento e cultura. L’importante è il “saper fare”: ‘cosa’ non è importante, basta saperlo fare subito.

Nel nuovo millennio non c’è spazio per la riflessione, per il pensiero o anche solo per un atteggiamento critico nei confronti della società. Nel terzo millennio tutto scorre veloce, è un qualcosa che solo noi che lo viviamo possiamo capire. Fermarsi a pensare è futile, per non dire dannoso. Bisogna cogliere l’attimo fuggente prima che tutto scorra: “pánta rêi” direbbero gli antichi Greci! Ma siamo veramente sicuri che, per l’appunto, queste astrazioni siano proprie solo della nostra epoca e della nostra civiltà? Eraclito, uno dei maggiori filosofi pre-socratici, a cui è attribuita, forse erroneamente, la sopraccitata massima “pánta rêi”, scrisse che non si può discendere due volte nel medesimo fiume senza che chi vi è disceso ed il fiume stesso siano irreversibilmente cambiati.

Allora, forse, l’uomo non è poi tanto cambiato nel corso dei secoli e dei millenni. La nostra natura è la stessa di quegli uomini che oltre duemila anni fa scrissero frasi che spesso finiamo per attribuire ad un presente che si è limitato soltanto ad ereditarle.

In cosa dovrebbero realmente consistere le “competenze”

Da qui nasce una mia definizione della parola “competenze”. Competenze è saper mettere in pratica ciò che si è imparato, essere appunto capaci di attualizzare i pensieri sui quali la nostra società e il nostro presente poggiano le proprie fondamenta. Il concetto di competenza non dovrebbe limitarsi ad un saper fare, bensì dovrebbe delineare un insieme di abilità che partono dalla conoscenza, si riflettono su un qualcosa di pratico e prettamente utile e, attraverso questa ramificazione, sviluppano nuove abilità quali la comprensione di ciò che si sta facendo ed una conseguente analisi critica del proprio operato al fine di migliorarsi. Allora si può concretamente partire dai propri punti di forza per sopperire alle proprie debolezze.

Una visione distorta di quelli che dovrebbero essere gli obbiettivi dell’istruzione

È proprio a causa di questa mentalità deviata che l’istruzione sta conoscendo una crisi indubbiamente non meno preoccupante di quella economica. Correnti di pensiero che mirano a valorizzare l’eccellenza e a sviluppare uno spirito di competizione che al contempo spinga tutti a migliorarsi vengono vituperate e considerate come antiquate e perfino “poco etiche”. L’obbiettivo da raggiungere è quello di creare un livello base, solitamente molto basso, al quale chiunque può arrivare senza neppure impegnarsi troppo, quando bisognerebbe invece spingere l’individuo a superarsi.

Alcuni consigli utili per migliorare significativamente il sistema di insegnamento nei licei

Per far questo occorre tuttavia catturare l’attenzione dello studente, comparare ciò che si è studiato con ciò che quotidianamente ci vede coinvolti.

L’insegnamento delle lingue straniere potrebbe tranquillamente essere migliorato lanciando dei dibattiti concreti su cui discutere in classe. Vi è la necessità di incentivare l’improvvisazione e di valutare gli studenti non solo su argomenti preparati a casa e studiati “a pappagallo” per fare più bella figura all’interrogazione.

Per quanto riguarda il liceo classico, greco e latino non devono limitarsi ad una lezione frontale. Imparare la letteratura è senz’altro importante, ma ancor più importante è riuscire a tradurre e a mettere in pratica ciò che si è studiato. A questo riguardo, perché allora non ragionare insieme su un testo, con l’aiuto del docente, magari traducendo “ad impronta”, senza vocabolario, e riflettendo solo ed esclusivamente sull’etimologia delle parole?

Matematica può diventare una materia ben più interessante da studiare se applicata ad esempi di vita quotidiana. Risolvere problemi di logica, senza utilizzare il solito schema di risoluzione pre-impostato, può contribuire ad accrescere concretamente le nostre competenze.

Vale lo stesso per quanto riguarda l’italiano. Anche qui occorrere diminuire il numero delle lezioni frontali e stimolare un dibattito fra gli studenti, magari partendo da testi di antologia che devono alternarsi fra antichi e moderni. Leggere un fantasy o un thriller è costruttivo tanto quanto leggere un romanzo di Calvino. È proprio dalla lettura che si impara a scrivere; i temi non sono interrogazioni in cui conta solo ed esclusivamente la conoscenza teorica dell’argomento.

Riflettiamo insieme…

A questo punto, viene tuttavia naturale chiedersi come mai, se la soluzione sia così “semplice”, fino ad ora nulla di tutto ciò è stato messo in pratica. Lascio a voi lettori riflettere su questo punto, mi limito però a darvi un indizio: creare un concetto distorto di insegnamento che verta su un significato falsato della parola “competenze”, benché non sia una soluzione, è senz’altro più facile e sbrigativo. È probabile, a mio avviso, che la causa di ciò sia da ricercare in un sistema di valutazione troppo rigido e che si limita a catalogare studenti come fossero prodotti di una catena di montaggio.

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