Va in scena la Medea, emblema del male in ciascuno di noi

di Alberto Zali

– Medea è il male insito in ciascuno di noi. Medea è lotta eterna tra passione e ragione e – dice lei stessa – la ragione non può prevalere sulla passione ma può avvenire il contrario. Ed è per questo che soffriamo. Medea è l’anti-eroe per eccellenza eppure noi proviamo empatia per lei, non riusciamo a non compatirla. Ma cos’è Medea e perché tanto ci affascina?

Euripide scandaglia l’animo umano, mettendoci di fronte da una parte alla sofferenza che deriva da un amore tradito, dall’altra al rapporto di una straniera con la comunità che la accoglie. Medea si mostra macchinatrice diabolica, implacabile: “solo attraverso la risolutezza si ottiene fama e gloria”. È paradossalmente l’antitesi del modello Leopardiano che, in “A sé stesso”, aveva proposto come soluzione al dolore il totale annichilimento del cuore. Medea è l’incapacità di non agire. Ma prima di tutto è una donna, la cui dignità è stata ferita da uomini che non hanno saputo accoglierla, da un marito per il quale si è lasciata patria e passato alle spalle che la ripudia. E a noi piace tanto Medea, perché ci è così simile. Ci sentiamo vicini ad una come lei, “persa, andata, spiritata, con l’animo in fiamme”.

Se Medea non è buona, non possiamo dire che lo sia Giasone. Ma Giasone è diverso da Medea, lui non incarna il male: è figura di indifferenza, della superficialità di un uomo che si ferma al sottile senza scavare nel profondo. Non riusciamo pertanto a provare pietà per lui, almeno non fino alla fine, quando in lui si insinua un male di vivere forse pari a quello di Medea. Ed è allora che guardiamo per la prima volta con astio la nostra amata Medea. Noi uomini adoriamo il male finché resta cristallizzato in un’immagine che sembra proporci un’alternativa ad un bene che fatichiamo a trovare. Ma è proprio perché siamo uomini che in noi non c’è solo il male: il dolore ci attrae, il dolore ci crea e forgia ma è capace di distruggerci. E quando ne capiamo gli effetti e vediamo Giasone, a cui non è concessa non la possibilità di rimediare ai suoi errori bensì quella di rendere un ultimo saluto ai suoi figli, mutare il proprio animo e versare calde lacrime, lo temiamo e ne rinasciamo un po’ meno affascinati.

Noi siamo attratti dal male perché, come direbbe Aristotele, vederlo compiersi libera in catarsi i nostri più reconditi desideri. E l’insegnamento ultimo di Medea è proprio che l’odio genera altro odio, la vendetta altra vendetta e il dolore produce nuovo dolore in una spirale infinita di morte, sangue e distruzione. Ma è davvero una morale quella che cerchiamo? O forse la nostra meta sono le emozioni che Medea ci suscita?

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