Noi, gli adolescenti e gli scarti biologici

di Claudia Demontis

– “Tagliatevi il braccio con un rasoio lungo le vene”, “Guardate video psichedelici e dell’orrore tutto il giorno”, “Procuratevi del dolore, fatevi del male” e ancora “Il curatore vi dirà la data della vostra morte e voi dovrete accettarla”; queste sono solo alcune delle schockanti 50 regole obbligatorie per partecipare al Blue Whale Game, un gioco il cui premio è porre fino alla propria vita.

 

LA VITA NON E’ UN GIOCO, MORIRE SI’
Cinquanta sono i giorni necessari che devono passare prima di salire sull’edificio più alto della città e, semplicemente, buttarsi giù. Per quanto appaia assurdo, il Blue Whale Game non è altro che una challenge il cui prezzo da pagare è veramente troppo alto. Spesso ci domandiamo quanto veramente valga la nostra vita, ma a quanto pare, per qualcuno il valore della nostra esistenza non equivale a quella di altri.
Dunque, il curatore, così si fa chiamare l’ideatore di questa sfida, studente russo di psicologia, afferma di non essere pentito di aver condotto centinaia di ragazzi alla morte, anzi, dichiara “Ci sono le persone e gli scarti biologici”. Così vengono definiti e considerati i 150 ragazzi ca. che hanno scelto di mettere letteralmente in gioco la propria vita: gli scarti biologici della società. Mai in tutta la nostra vita avremmo mai pensato di ritrovarci in una situazione del genere, ovvero di dover classificarci in ragazzi di Serie A e serie B, persone che meritano di vivere ed altre che “avrebbero fatto solo danni a loro stessi e alla società.”

 

BLUE WHALE GAME, FELICI DI MORIRE
Io selezionavo gli scarti biologici, quelli più facilmente manipolabili. Li ho spinti al suicidio per purificare la nostra società. Ho fatto morire quelle adolescenti, ma erano felici di farlo. Per la prima volta avevo dato loro tutto quello che non avevano avuto nelle loro vite: calore, comprensione, importanza“.
La follia e la disumanità pronunciate in queste parole pesano nei nostri cuori: non si tratta di razzismo, omofobia, maschilismo o bullismo, questi concetti li abbiamo impressi nella nostra vita sin dalla nostra nascita, ma questa ferma discriminazione da cosa ha avuto origine? Non è il colore della pelle, il nostro orientamento sessuale o il nostro genere, il Blue Whale Game è un gioco in cui noi, ragazzi dai 9 ai 17 anni, siamo sminuiti e distrutti per cinquanta giorni di seguito, fino alla morte, senza l’apparente intervento di qualcuno che possa fermarci, stringerci la mano prima di buttarci giù da un palazzo di quindici piani.

 

UNA NOIA MORTALE
Eppure, una domanda tormenta le nostre menti: perché?
Per quale ragione un tale numero di nostri coetanei ha deciso, semplicemente, di buttare via la propria vita? Come è possibile che nessuno si accorgesse dei continui cambiamenti, degli atteggiamenti strani, dei tagli, e ancora, come si può rimanere col cellulare in mano a filmare il suicidio di un nostro conoscente, di un amico ma anche di uno sconosciuto? Ci chiediamo quali siano le cause della viralità di un tale fenomeno: siamo diventati così fragili e sensibili da non riuscire più a sopportare il peso della nostra vita o l’impatto che la realtà ci impone?
Oppure si tratta di un grave senso di ambiguità in cui tutti noi siamo come intorpiditi da una vita in cui, in base, non ci manca niente; è quindi questo profondo senso di noia o delirio di onnipotenza che ci conduce a rendere la nostra morte un fenomeno virale? A desiderare di spingerci sempre più al limite, al pericolo, a provare quella scarica di adrenalina che non riusciamo più a provare compiendo le azioni di ogni giorno?
Che cosa sta accadendo a tutti noi? Quale gravissimo malessere o avvilimento esistenziale può averci condotto a diventare così apatici, insensibili da aver rinunciato completamente a tutto. Quale nostro genitore non noterebbe un cambiamento in quei maledetti cinquanta giorni?
A volte la Russia sembra così vicina a noi, sono solo un paio di ore in fondo, eppure, mai come oggi ci è sembrata così distante, così triste, così glaciale.