La lettera /Caro Dario Di Vico, e se dietro la tastiera non ci sentissimo così soli?

Qualche giorno fa il noto giornalista del Corriere della Sera, Dario Di Vico, ha pubblicato un’interessantissimo articolo sui giovani e la loro solitudine (http://www.corriere.it/cronache/16_novembre_07/centomila-chiusi-loro-stanze-neet-3792683c-a455-11e6-9261-ffaafc24ed7d.shtml), lo abbiamo letto e lo abbiamo preso molto sul serio. Ecco la nostra risposta.

– di Luca Ruperto e Alberto Zali

* Gentilissimo prof. Dario Di Vico,

lei – in un articolo del “Corriere della Sera” di qualche giorno fa – ha parlato dell’isolamento psicologico e fisico (ossia della tendenza dell’individuo a rinchiudersi nella propria camera, ricercando la solitudine) di noi giovani che sarebbe causato – secondo studi autorevolissimi – da due fattori, uno dei quali è l’eccessiva dipendenza dalla tecnologia da parte della nostra generazione.
Secondo le sue tesi, gli adolescenti sarebbero influenzati anche dall’ambiente che li circonda, che li spingerebbe a separarsi da una società che contribuirebbe a emarginarli, invece che farli sentire a proprio agio; le scuole sarebbero quindi sempre meno attente alle problematiche dei ragazzi e la comunicazione tra figli e genitori sarebbe altresì molto diminuita rispetto alle generazioni precedenti. Se un ragazzo si ritrova in una situazione spiacevole, quale una malattia, un infortunio o una condizione di povertà, la scuola e la famiglia spesso e volentieri non si impegnerebbero nella sua reintegrazione portandolo a diventare un neet, acronimo inglese di not (engaged) in education, employment or training ossia un giovane che non studia e non lavora. Forse il fatto che i giovani non lavorino è più una causa che un effetto di questo fenomeno.
Non trovando lavoro, infatti, una persona si sente inutile alla società e inferiore rispetto a chi esercita una professione tendendo quindi ad isolarsi e a considerarsi diverso. Solo e vuoto dentro, il giovane troverebbe così riparo solo nella rete, creandosi una nuova vita virtuale, che gli permetterebbe di non incappare in spiacevoli inconvenienti e delusioni, offrendogli la possibilità di trovare una via di fuga dagli stereotipi imposti dalla vita reale.
Il web permetterebbe in questo modo di superare le barriere dell’inibizione, comunicando con persone che hanno i tuoi stessi interessi e talvolta i tuoi medesimi problemi: si è sicuri di non essere giudicati, perché non si deve prestare una particolare attenzione riguardo alla cura dell’aspetto fisico e quindi si può essere sicuri di poter condividere un pensiero senza il timore che qualcuno si fermi alle apparenze estetiche.
E’ quindi in torto, professor Di Vico, quando afferma che la tecnologia porta i ragazzi all’isolamento?
Non potrebbe essere che questi nuovi campi aperti dal progresso siano, invece, un’agevolazione per gli individui, piuttosto che un ostacolo alla loro vita sociale?
La tecnologia permette di comunicare facilmente con persone di tutto il mondo, con le quali scambiarsi opinioni e punti di vista altrimenti impossibili.
Così si possono scoprire e sviluppare interessi prima sconosciuti, poiché inesistenti nella realtà cittadina o statale in cui si nasce e si cresce.
Attraverso la rete, poi, è possibile accedere ad infinite informazioni che permettono di approfondire le proprie passioni e quindi il web può agevolare uno studente nello studio semplificandogli la ricerca di materiali, che altrimenti sarebbero più difficili da reperire.
L’innovazione tecnologica ha prodotto invenzioni alla portata di tutti e sempre più utili allo svolgimento di compiti che altrimenti avrebbero richiesto molto tempo, permettendo quindi alla persona di concentrarsi sullo sviluppo di nuove idee, piuttosto che alla realizzazione di vecchie.
Tra i vari campi dell’industria tecnologica, infine, sicuramente quello dei videogiochi risulta essere il più bistrattato perché considerato futile. Bisogna però dire che come tutte le cose presenta anch’esso degli aspetti positivi: i videogiochi infatti stimolano la mente ad uno spirito di competizione, permettendo all’individuo di migliorarsi, senza però sentirsi, a differenza della società reale che lo circonda, sotto pressione, ma – al contrario – sentendosi spinto a conseguire un risultato. Inoltre le abilità nei videogiochi sono da considerare una passione e una qualità non diversa da altre e quindi da rispettare come tali.
“La tecnologia fa male alla salute” ha detto recentemente Lara Castelletti; questo concetto – professor Di Vici – è senz’altro vero ma occorre specificare che la tecnologia non fa male in quanto tale, ma nuoce come qualunque attività che sia portata all’esagerazione; inoltre le tecnologie odierne hanno portato monitor migliori (aumento di risoluzioni, refresh rate, gamma, controllo della luminosita e potenza di colorimetri o spettrofotometri e riduzione di flickering) che causano meno danni alla vista rispetto a monitor di solo un decennio fa, per non parlare dei vecchi CTR (tubo a raggio catodico).
Le tecnologie risultano quindi parecchio utili e ormai fanno parte del nostro vivere e consentono di creare una realtà alternativa; Tuttavia bisogna tener presente che la vita reale è quella che conta, mentre quella virtuale deve solo fornirci supporto per affrontare al meglio la nostra quotidianità. Su queste basi, professor Di Vico, ci piacerebbe davvero discutere e avere la reale possibilità di incontrarla.

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