Ma che cosa sta succedendo in Libia?

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a cura della Redazione

 

– Non è una domanda semplice a cui rispondere. Fino al 2011 la Libia è stata una nazione indipendente, frutto dell’accordo fra numerose tribù, guidata dal dittatore Gheddafi. Si trattava di uno stato sunnita, tendenzialmente laico e in mano ai militari fedelissimi del Colonnello. Le primavere arabe del 2011 fecero scoppiare il malcontento sunnita in tutta la regione. I sunniti, in estrema sintesi, desiderano vivere il Corano con fedeltà, in armonia alla Sunna, la grande tradizione che si formò attorno ai successori di Maometto nei due secoli successivi alla sua morte. I sunniti, quando riconoscono che l’autorità politica permette loro di vivere con fedeltà la legge coranica, la Sharia, non hanno problemi ad appoggiare il potere costituito. Al contrario, come è accaduto dalla fine della guerra fredda, i sunniti mettono sotto accusa il potere politico laddove sembra che tradisca gli interessi dell’Islam flirtando con gli occidentali e allontanandosi dagli insegnamenti della Tradizione. Egitto, Tunisia e Libia finirono così nell’occhio del ciclone popolare e Mubaraq, Ben Alì e Gheddafi caddero sotto i colpi delle proteste e con il favore dell’Occidente. In Libia la Francia, per incrinare la partnership commerciale di quel paese con l’Italia (che governò direttamente la Libia dal 1912 al 1945) appoggiò militarmente i ribelli con una serie di raid che portarono alla disgregazione del paese e alla fine di Gheddafi. Dopo il 2011 niente fu più come prima. Il governo fu diviso fra due partiti, uno filo-occidentale che proclamò capitale Tobruk, e uno più vicino agli interessi delle tribù sunnite con sede a Tripoli. L’arrivo dell’ISIS, nel 2014, spinse i sunniti integralisti a raggrupparsi formando un terzo governo del paese, quello del Califfato. In questo ginepraio la comunità internazionale cercò sia di promuovere un “tavolo delle tribù” per la pacificazione internazionale, sia di ostacolare militarmente l’ISIS. In questo lungo tentativo di pace si cercò in tutti i modi di evitare tranelli e inconvenienti e il governo italiano impedì – di fatto – agli italiani di andare in Libia. La cosa non funzionò per quattro tecnici dell’Eni, l’Ente Nazionale Idrocarburi, che inviò lo stesso i suoi uomini sul posto. Vennero catturati, non si sa come e non si sa perchè. Da allora, parliamo di più di un anno, le cose sono molto cambiate: Charlie Hebdo, gli attentati al Museo del Bardo, il Bataclan e la guerra di Siria hanno reso ogni giorno sempre più possibile un intervento del nostro esercito in territorio libico, il suolo da cui partono – è bene ricordarlo – i barconi dei profughi e dei disperati. Il drammatico epilogo di questi giorni, con un’impresa militare alle porte, due ostaggi morti e due rilasciati, fanno però venire a galla un’altra più terribile domanda: siamo davvero pronti ad una guerra? La guerra può risolvere realmente qualcosa? L’incertezza cala sul Mediterraneo. E un intero paese aspetta ancora una seria e convincente risposta.

I più forti di sempre?

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