Edimburgo/Un’esperienza che cambia la vita

L’uomo scopre nel mondo solo quello che ha già dentro di sé. Ma ha bisogno di conoscere il mondo per scoprire quello che ha dentro di sé. (Hugo von Hofmannsthal)

Risale a tre anni fa la mia scelta di prendere parte al corso pomeridiano di Sharing.school. Scelta dettata, certamente, dal desiderio di imparare a scrivere articoli di giornale. Non mi aspettavo, però, che potesse riservare delle sorprese tanto grandi! Potrei raccontare dell’importanza del lavorare in gruppo, della fatica nel rispettare le scadenze e di quanto io sia cambiata, ma sarebbe riduttivo.

Una vera svolta è stata per me l’esperienza dello stage a Edimburgo avvenuta tra i mesi di aprile e maggio di quest’anno.

Che la sfida abbia inizio!

In seguito ad un PON (Programma Operativo Nazionale) vinto dalla nostra scuola proprio grazie al progetto di alternanza di Sharing.school, quindici ragazzi del nostro istituto avrebbero avuto l’opportunità di partecipare a uno stage di tre settimane nella capitale scozzese, durante il quale avrebbero lavorato presso alcune aziende.

Come si può notare, la posta in gioco era tanta e quindi la sfida, organizzata con l’obiettivo di trovare i quindici vincitori, molto ardua. Durante l’anno scolastico 2017/2018 in più di settanta ci siamo battuti, a colpi di articoli, video e interviste di ogni tipo per raggiungere un punteggio tale da ritrovarci tra i primi quindici. All’inizio di questo anno scolastico, dopo una serie di colloqui, sono stati designati i partecipanti a questo stage.

Pronti, partenza…per Edimburgo!

Il 24 aprile è iniziata l’avventura. Avevo stretto amicizia soltanto con la metà dei ragazzi che, insieme a me, stavano per iniziare questo viaggio e avevo il timore di non riuscire a farlo anche con gli altri. Con un misto di paura ed eccitazione siamo partiti, accompagnati dai professori Pichetto e Timossi, alla volta di Milano Malpensa e in tarda serata siamo giunti al nostro hotel. Poco a poco, con il passare delle ore, quello che sognavo ormai da mesi stava diventando realtà. Se devo essere sincera, però, non sapevo cosa mi avrebbe riservato questa esperienza: non ero mai stata, fino a quel momento, lontana da casa e dalle mie abitudini per così tanto tempo e non avevo mai svolto una vera e propria attività lavorativa. Vi era, inoltre, l’ostacolo della lingua (se già l’inglese può risultare in qualche caso difficile, lo scozzese è proprio incomprensibile!). Tutti questi fattori, sommati alla mia timidezza e poca disinvoltura, erano la combo perfetta per farmi sentire sotto pressione.

Fortunatamente, a differenza di quanto ci era stato comunicato all’inizio, alcuni di noi si sono ritrovati a lavorare nella stessa azienda: io, Alberto, Arturo e Andrea abbiamo svolto il nostro stage presso l’agenzia turistica di Nessiehunters. Scortata da tre baldi giovani mi sentivo protetta e pronta a tutto!

“Would you like to visit Loch Ness? / ¿Quieres visitar el lago Ness?”

Sveglia impostata alle 5.45, colazione, corsa per il tram direzione York Place, corsa per l’autobus numero 47, un’ora di viaggio e arrivo nella zona portuale della città. Lì, ogni giorno, Francisco (sì, l’agenzia era spagnola) ci apriva le porte del container di Nessiehunters. Lì abbiamo lavorato per tre settimane. Alberto ed io avevamo ricevuto l’incarico di scrivere “the ultimate article” riguardo alla leggenda del mostro di Loch Ness e, una volta terminato, ci siamo dovuti occupare di un altro articolo, sull’Aereoporto di Edimburgo. Chissà quando saranno pubblicati sul sito ufficiale…

Non abbiamo, però, soltanto scritto: per ben due volte (con guida prima scozzese e poi spagnola) ho partecipato al 1 DAY – Loch Ness, Glencoe and the Highlands, con lo scopo di pubblicizzarlo e di crearne un video con l’utilizzo del gimbal e ho fatto volantinaggio, che gli scozzesi chiamano “street selling”. Per molte ore siamo anche stati lasciati allo sbaraglio, o almeno così sembrava.

“Il primo mese lasciate la gente nel vuoto e vediamo che fa”

La frase di Sergio Marchionne, in un’intervista di Tommaso Ebhardt, pubblicata poi nel suo libro, mi ha fatto cambiare idea. Sono venuta a conoscenza di questa grazie al prof Pichetto, il quale, ogni sera, ci riuniva nella hall dell’albergo per raccontarci della nostra giornata. Una volta a settimana, invece, facevamo una riunione di redazione particolare, nella quale confrontavamo le nostre idee sull’esperienza che insieme stavamo vivendo. È stato proprio in queste occasioni che ho capito molto di me, del mio lavoro e del mio approccio verso il mondo esterno.

Voler raccontare l’intero viaggio a Edimburgo e tutto ciò che esso ha comportato in un solo articolo sarebbe fin troppo pretenzioso (non a caso, abbiamo creato il #DiarioScozzese): mi limiterò, quindi, a dire che questa esperienza mi ha reso più indipendente, mi ha insegnato a convivere con gli altri e le loro abitudini, a condividere parte della mia vita e a espormi ed esprimermi senza il timore di essere giudicata. In quelle tre settimane è nata una nuova famiglia e una nuova Valentina, più consapevole delle sue potenzialità e dei suoi desideri riguardo al futuro.