Intervista a Nicola Ruperto/La sperimentazioni dei farmaci sui bambini

di Luca Ruperto

– Oggi la redazione Competition ha deciso di non parlarvi di sport, di motori o di tecnologia, ma di medicina. Ecco a voi l’intervista al dottor. Nicola Ruperto, specialista in pediatria.

Quali sono le origini della sperimentazione dei farmaci nell’uomo?
Senza andare troppo indietro nel tempo, sono tristemente noti gli esperimenti effettuati sui prigionieri nei campi di concentramento nazisti. Al fine di evitare questi episodi estremi, l’organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha stabilito, con la dichiarazione di Helsinki, i principi fondamentali per la sperimentazione dei farmaci nell’uomo. In breve, la dichiarazione stabilisce il principio che nessun farmaco possa essere sperimentato nell’uomo senza il suo consenso informato.

Come avvengono le sperimentazioni?
Dopo una prima fase di studio nell’animale per stabilire la tossicità, in particolare la cancerogenicità, si può passare alla sperimentazione sull’uomo, tipicamente divisa in quattro fasi. Nella fase I si valuta la tossicità, nella fase II si stabilisce il dosaggio, nella fase III si valuta l’efficacia e la tollerabilità per poi immettere il farmaco sul mercato, qualora il rapporto rischio-beneficio sia positivo, e infine nella fase IV si studiano gli effetti collaterali su popolazioni molto ampie. Tutte queste fasi sono regolate e standardizzate nella loro implementazione a livello internazionale.

Quante volte le sperimentazioni sono di successo e quante falliscono?
Si calcola che su 100 farmaci che iniziano la fase I solo 4 o 5 arrivano in farmacia, mentre gli altri si bloccano prima per diversi problemi.

Perché studiare i farmaci nel bambino?
E’ esperienza comune dei genitori consultare il foglietto illustrativo, chiamato dai medici “bugiardino”, per informarsi sulle caratteristiche dei farmaci da somministrare ai propri figli. In queste indicazioni è tipicamente riportata la frase: “Non somministrare ai bambini al di sotto dei 12 anni o alle donne in stato di gravidanza”. La conseguenza di questa frase è che fino a pochi anni fa l’80% dei farmaci utilizzati in pediatria non era mai stata studiata per mancanza di interesse sia economico che scientifico da parte delle case farmaceutiche (ndr. Ditte che producono farmaci).

Come si studiano i farmaci nel bambino?
Vista la mancanza di interesse delle case farmaceutiche i due più grossi enti regolatori (ndr. Strutture pubbliche che autorizzano l’immissione in mercato dei farmaci), la Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti e la European Medicine Agency (EMA) in Europa, da qualche anno impongono l’obbligo di studiare il farmaco anche nel bambino. In cambio di questo impegno FDA ed EMA concedono un’estensione di 6 mesi della licenza di esclusività (ndr. Diritto al monopolio del farmaco) al fine di recuperare i costi derivanti dall’effettuare sperimentazioni sul bambino.

Serve altro per effettuare studi nel bambino?

 

L’intervento legislativo degli enti regolatori è stato fondamentale, ma altrettanto importante è la capacità di fare rete, ossia di effettuare questi studi in tempi rapidi, individuando il maggior numero di bambini con quella malattia nel minor tempo possibile. Nel nostro settore, Reumatologia Pediatrica, abbiamo costituito con il professore Alberto Martini un’associazione chiamata Paediatric Rheumatology Internetional Trials Organisation (PRINTO) che ad oggi raggruppa oltre 500 centri in più di 60 paesi in tutto il mondo. PRINTO che ha sede presso l’istituto Gaslini a Genova ha reso possibile lo studio dei farmaci più innovativi nel nostro settore studiando l’efficacia e la tollerabilità dei farmaci in oltre 40000 bambini provenienti da tutto il mondo.

Non rischiamo di far diventare i bambini come cavie da laboratorio?
Effettuando studi ben approfonditi evitiamo di somministrare farmaci alla cieca e di conseguenza di trattare ogni piccolo bambino come una cavia da laboratorio

 

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