Alberto Zali/Tre anni di ricordi in redazione Sharing

Lo ricordo come fosse ieri. L’autunno alle porte. Il caldo di fine estate mitigato un poco dall’arietta serale. Camogli, che quell’estate mi aveva regalato tante emozioni, alcune di esse indimenticabili. Ma era un giorno come un altro, uno di quelli che vuoi trascorrere al mare tranquillo con gli amici a giocare a schiaccia 7 infastidendo le vecchiette che prendono il sole. Solo che quel giorno una mia amica, di ritorno dal Festival della Comunicazione, mi fece una proposta (che non potei rifiutare): perché non fare Sharing? Insomma, mi piaceva scrivere ed ero anche abbastanza bravo. E poi adoravo e adoro le sfide.

Ricordo l’assemblea in palestra alla quale partecipammo in 80, e poi ancora la prima sera trascorsa a chattare sul “gruppone” di Sharing. Ebbi la sensazione di trovarmi all’interno di una grande famiglia, affiatata e desiderosa come me di mettersi in gioco. E in appena due settimane il numero di persone che seguiva la pagina Facebook di Sharing triplicò fino a 1500, investendoci di una responsabilità: avevamo un pubblico, che ci leggeva, che voleva sapere il nostro parere su quello che accadeva nel mondo.


Qualche mese per imparare a scrivere…

L’ho detto poco fa: mi sono immerso in questa avventura chiamata Sharing proprio perché mi piaceva scrivere. All’epoca avevo già tre romanzi nel cassetto, ma anche pochissima voglia di sbattermi per trovare un editore. Diciamo che avevo sempre scritto per me stesso, un po’ per divertimento, un po’ perché mi aiutava ad esprimere meglio quello che provavo in una fase complicata come l’adolescenza. Eppure, l’idea che qualcuno fosse interessato a sapere che cosa avevo da dire e che addirittura potesse condividere qualche mio pensiero era parecchio allettante.

Iniziai a scrivere convinto di essere un passo avanti rispetto agli altri (ecco qui che emerge la mia scarsa, scarsissima autostima). Ma dopo il boom in visualizzazioni che fece il mio primo articolo sul valore della musica, in realtà mi accorsi che i miei articoli erano fra i meno letti. Entrai in paranoia: ero davvero così scarso a scrivere? Probabilmente no, ma non leggevo abbastanza articoli e mai che mi venisse in mente di andare sul sito del Corriere della Sera e scorrerne un po’ la schermata home per vedere due titoli. Dovetti quindi imparare a leggere, disimparare a scrivere in quello stile un po’ romanzesco e un po’ alla Tolkien “che nessuno su internet va oltre la prima frase”, re-imparare ad esprimermi in un linguaggio nuovo, conciso, dritto al cuore.

Qual è il vero significato della musica?

Ecco quello che ho imparato:

Il linguaggio giornalistico è soprattutto precisione lessicale e abilità comunicativa; puoi avere i contenuti migliori del mondo, ma se risultano in minima misura tediosi non te li leggerà nessuno. Quando scrivi, devi stare attento virgole, punti e virgola e due punti: dettano il ritmo del discorso, lo rendono più fluido ed accessibile al lettore che, di ritorno dal lavoro, non ha voglia di star troppo concentrato su frasi chilometriche. Anche le spaziature hanno la loro importanza. Ogni paragrafo deve essere accompagnato da un sottotitolo, che sarà un utile guida nella fruizione dell’articolo. Ricorda di andare accapo se non vuoi che il tutto risulti una pasta vetrosa in cui è impossibile riconoscere le gemme preziose!


… qualche giorno per imparare a dirigere!

Febbraio 2017: inizia la gara. Veniamo smistati in tante piccole redazioni e ogni settimana si vota il caporedattore che dovrà sudare sangue per condurre la squadra in finale. La prima settimana prendo una manciata di voti. La seconda settimana vengo eletto praticamente all’unanimità e, da quel momento, avrei mantenuto la posizione di caporedattore fino al giorno della finale. Vi immaginate quanto mi sentissi gasato del (mio piccolo) successo che avevo ottenuto in soli 4 mesi?

Fin da subito ci attestammo tra i primi in classifica, facendo punteggi e visualizzazioni che avevano dell’incredibile. Poi arrivarono le prime complicazioni: molti non avevano più voglia di scrivere, lo stress di fine anno si era fatto sentire (soprattutto per quelli che all’epoca erano in quinta) e dire “fai questo e fai quell’altro” non bastava più a tenere il gruppo coeso. Iniziai a scrivere molti più articoli per sopperire a quanti si erano un po’ adagiati lungo la strada, a farmi del nervoso perché la finale era lì a un passo da noi ma quel passo non potevo farlo da solo.

Divide raccontato da noi, ecco il nuovo album di Ed Sheeran!

Fu allora che dovetti imparare davvero come si coordina un gruppo, motivandolo, proponendo idee interessanti e sempre nuove, ma soprattutto facendolo sentire partecipe nelle tue decisioni. La Repubblica platonica in cui sono i filosofi a detenere il potere per il bene di tutti nella pratica non funziona: in una qualche misura, chiunque necessita del proprio spazio in cui essere libero e creativo. E se qualcuno vi rinuncia perché crede ciecamente nelle tue capacità di leader, stai sicuro che quella persona smetterà di contribuire attivamente alla squadra. 


La difficoltà di rincominciare…

Alla super-finalissima di Sharing siamo in cinque: io, Valentina, Carlotta, Angelica e Alice. Le presentazioni che abbiamo preparato sono tutte di gran qualità e il pubblico è entusiasta. Già, il pubblico… ci siamo concentrati così tanto sul lavoro da svolgere, che ci siamo dimenticati di pubblicizzare l’evento. E se alla finale di Sharing 1 era stato riempito tutto il Cantero, alla nostra assistono soltanto un centinaio di persone o poco più.

Sharing.School – A tu per tu con i finalisti!

L’estate si fermano i lavori. Abbiamo solo voglia di mare. Si scrive su Sharing di tanto in tanto, solo quando c’è davvero qualcosa da dire (come forse è giusto che sia). E poi siamo sicuri che a settembre rimettere in moto la macchina non sarà poi così impossibile, viste le iscrizioni registrate l’anno precedente. Poi, ci troviamo a fare i conti con la realtà: l’insuccesso mediatico della seconda finale ha tagliato le gambe al nostro progetto e ad iscriversi sono soltanto in 25. Rispetto all’estate vengono sfornati molti più articoli, ma nulla in confronto all’anno precedente. Trascorrono mesi in cui rincominciare sembra davvero impossibile. E l’entusiasmo cala, per le visualizzazioni che sono sempre meno.

Poi arriva una notizia del tutto inattesa: pare che il professor Pichetto, ideatore e coordinatore di Sharing, abbia iscritto il nostro progetto ad un PON (Progetto Operativo Nazionale); pare che questo PON noi lo abbiamo vinto, e che la Commissione Europea finanzierà un viaggio di istruzione nel settore comunicazione e marketing ai 15 ragazzi che più si sono distinti nel corso dell’anno precedente. Una notizia inattesa che ci mette di fronte ad un bivio: goderci il nostro meritato premio o rimetterlo in gioco per far ripartire Sharing?


… la gioia che si prova nell’imparare nuove cose!

Forse un po’ per ingenuità, forse perché questo progetto ci aveva affezionato al punto di mettere a rischio il viaggio ad Edimburgo, abbiamo seguito il prof. nella sua idea di rimettere in palio il premio. E – strano a credersi – ha funzionato! A marzo gli iscritti sono tornati ad essere 80 e il nostro sito è arrivato a contare oltre 1500 articoli pubblicati, con visualizzazioni giornaliere che raggiungevano quota 30.000. Una nuova finale, nuovo entusiasmo, tanta voglia di sperimentare e imparare nuove cose, perché quest’anno la concorrenza era spietata.

Allora ci siamo cimentati in video-interviste,

Intervista a dott.ssa Vaccarezza, a cosa serve la filosofia?

abbiamo imparato a documentare partite di calcio,

#cosechenonsidicono/la Partita del Cuore contro i tumori infantili

e ancora a realizzare info-grafiche!


Ma dopo 3 anni cosa mi resta di Sharing?

Sharing.School si è rivelato molto più di un progetto. È per questo che adesso mi è tanto difficile tirare le somme e da mezzora provo a scrivere qualcosa per concludere quest’ultimo paragrafo. Che dire… qui ho trovato amici, amici veri. Ho conosciuto persone che sono entrate quasi di prepotenza in questa parte della mia vita, col loro desiderio e la loro pretesa di lasciarvi un segno, e che quel segno fosse per me un punto da cui ripartire sempre. Tra tutte le cose che ho imparato a Sharing, forse la più significativa è la capacità di alienarmi sempre un po’. Influenzati dal pensiero filosofico di Marx, noi intendiamo questo termine con una accezione esclusivamente negativa, ma se guardiamo ciò che ci circonda non è così. Viviamo in un’epoca in cui siamo narcisisticamente incentrati sul “Sé”, in cui ogni rapporto che costruiamo – e noi davvero aneliamo questi rapporti – è egocentrico: rivolto all’io più che all’altro. Ma dice Sartre: “Per ottenere una verità qualunque sul mio conto, bisogna che la ricavi tramite l’altro. L’altro è indispensabile alla mia esistenza, così come alla conoscenza che io ho di me”.

In questo senso dobbiamo essere un po’ capaci ad “uscire fuori di noi” e a guardare il mondo da una prospettiva un poco spersonalizzata. Altrimenti rimarremo prigionieri di noi stessi e delle circostanze, in balia degli eventi e delle nostre passioni. Sharing mi ha dato occhi con cui guardare e commentare il mondo, e questo è il dono più grande, poiché oggi sono libero di guardare un po’ più a fondo dentro me stesso.