Commiato


di Federico Pichetto

– Domani si chiude ufficialmente il progetto invernale di Sharing. Da lunedì verrà sostituito da #sharingsummer, il contenitore estivo di giornalismo per giovani concepito come un vero laboratorio di scrittura e di educazione alla criticità. Tanti gli esperimenti che si avvicenderanno, ma soprattutto tanti i volti nuovi che lo comporranno. Questo vuol dire che la Redazione storica del blog, complice anche la maturità che si porterà via ben sei redattori, esaurirà il suo ruolo e, tra addii e arrivederci, cambierà per sempre la sua fisionomia. I ragazzi odiano la parola fine: da un lato ne vanno matti quando essa sottende un’esperienza di liberazione da qualcosa di faticoso o di “opprimente”, dall’altro vedono in essa l’ostacolo più imponente alla loro felicità. Se le cose finiscono, infatti, come posso io – ragazzo di 15 o 18 anni – essere sicuro che nella vita sarò sempre e davvero amato? Ciò che forse chi legge stenta a capire è che la Redazione di Sharing ha dato a ciascuno dei redattori un luogo dove poter dire “Io”, un cantuccio di manzoniana memoria dal quale immaginare il futuro, sperimentarsi e mettersi alla prova. Sharing ha creato dipendenza dentro di loro perché ha consentito ad ognuno di avere un posto stabile nel mondo, perché ha risvegliato tutta la forza che l’Io di una persona sprigiona ogni volta che sente di appartenere a qualcosa, di avere un obiettivo, uno scopo. La verità, però, é che non è stato Sharing a fare tutto questo: che cosa sarebbero questi ragazzi senza i loro insegnanti che li hanno preparati così bene a scrivere e ad esprimersi? Che cosa sarebbero senza la scuola a cui dobbiamo tutti i ringraziamenti di questo mondo per l’enorme possibilità che ci ha dato di fare tutto questo? Che cosa sarebbero senza i loro genitori, i loro amici, i loro piccoli-grandi amori? Difficile dirlo. Certamente sarebbero come contenitori vuoti, note senza spartito, idealisti senza sogni. Sharing, dunque, non ha creato il loro bisogno di esserci e di appartenere: esso c’era già ed era coltivato dalla professionalità e dall’umanità delle persone che avevano vicino; Sharing ha semplicemente risvegliato quel bisogno, lo ha trasformato in desiderio, in grido, ha dato ad esso una casa. Scriveva una di loro qualche sera fa: “Questa esperienza è stata per me come il passaggio di un autobus dove ti accorgi per un istante che c’è il tipo che ti piace: non smetti più di guardarlo e vorresti semplicemente salirci a bordo. Io dentro di me in questi mesi ho sentito qualcosa che mi ha fatto riguardare il mio anno piangendo, consapevole di ciò che realmente volevo”. Per noi adulti tutto questo è una grande sfida. L’educazione non è l’arma mediante la quale formiamo gli uomini e le donne che abbiamo in testa noi, quasi fosse una sorta di operazione eugenetica culturale, bensì una relazione dentro la quale si ridesta “il meglio della vita”, quel bisogno di essere umani che ci rende unici tra le specie che popolano la terra. Il nostro male, la nostra cattiveria, si spengono solo dentro un rapporto così. Per questo i ragazzi non accettano che Sharing finisca: perché temono di non poter più sperimentare la stessa adrenalina, la stessa febbre di vita, che li ha mossi lungo questi sei appassionatissimi mesi. Eppure niente è avvenuto a costo zero: ci sono stati scontri, liti e diaspore. Gli stessi conflitti con me, il docente referente, sono stati impietosi e agguerriti: si sono spesso coalizzati e hanno fatto ammutinamento, fermi sulle loro posizioni e sui loro metodi. Ne “Il Piccolo Principe” c’è un’espressione che spiega bene tutto questo: addomesticarsi. In tutto questo tempo trascorso insieme noi ci siamo “addomesticati”: loro a me e io a loro. È incalcolabile la quantità e la qualità di cose che io ho appreso da loro e devo dire, senza paura, che il loro sguardo, le loro domande, i loro mille “perché”, mi hanno cambiato. È così, cari lettori, che ci avviamo alla fine, è così che ci salutiamo e ci congediamo dal nostro pubblico: con la consapevolezza che il nostro frequentarci, il nostro lavorare insieme, ci ha davvero fatto bene, ci ha fatto del bene. Spalancando il nostro cuore al bisogno che abbiamo di essere (e restare) umani e imparando, giorno dopo giorno, che non tutti “ti fregano”, che dell’altro ci si può fidare perché l’altro è un bene per me, per la mia vita. Ciao Raffaele, Camilla, Serena, Rachele e Camilla. Ciao Chiara, Claudia, Alessia, Agata, Angelica, Lorenzo e Lapo. Ciao Enrico, Chiara, Rocco, Jennifer e Andrea. Ciao Veronica, Emanuele, Daniela, Caterina e Angeline. Ciao Elisa, Federica e Rossella. Ciao a tutti e buona vita. Buon viaggio. Il vostro pubblico più vero non è stato chi vi ha letto, ma quel bambino che abita dentro di voi e che ogni giorno si attende che scriviate qualcosa per lui, che gli raccontiate una storia che gli insegni che desiderare è il senso di ogni respiro e che sugli altri, in verità, si può davvero contare. Non deludetelo. Condividete con lui la vostra vita. E sarete così dei buoni genitori, dei buoni figli, dei buoni amici. Sarete Sharing. Che poi è quello che abbiamo provato ad essere per tutti. Non siamo stati bravi, lo sappiamo, ma siamo stati noi stessi. E questo, caro pubblico, ci permette di dire che ci rivedremo ancora. A guardare le stelle del cielo o a raccontarvi tutte le storie di cui è piena questa terra. Chissà… Ciao a tutti. O, forse, arrivederci.

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