I have a dream/Il sogno di Martin

di Nicksharingram

– Quella di giovedì 4 aprile 1968 sembrava una sera come tutte le altre a Memphis, in Tennessee. Un uomo si affaccia sul balcone di un motel e inizia a parlare con qualcuno: “…Ben, suona Precious Lord take my hand all’incontro di stasera, e suonala bene”.

Improvvisamente il rumore sordo di uno sparo lo zittisce e per un momento il tempo sembra essersi fermato. L’uomo cade a terra, colpito a morte dal proiettile di un fucile. Quell’uomo era Martin Luther King, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani e premio Nobel per la pace e oggi sono passati più di cinquant’anni dalla sua morte.
Quel giorno si trovava nella città di Memphis per sostenere una campagna nazionale di sensibilizzazione verso le condizioni di lavoro delle persone povere, soprattutto appartenenti a minoranze: solo una fra le innumerevoli tappe che toccò durante la sua vita per parlare alla gente e combattere contro ogni forma di segregazione razziale.
Perché King faceva questo? Voleva difendere i diritti delle persone di colore come lui; voleva lottare contro la ferocia dell’apartheid, che aveva conosciuto fin da bambino in Georgia, e fare in modo che i suoi figli, un giorno, potessero vivere in un mondo senza discriminazioni legate alla razza e al colore della pelle. Un obiettivo che allora, nella dura realtà degli Stati Uniti, sembrava un sogno, come disse nel celebre discorso “I have a dream”, pronunciato nel 1963 durante la marcia di protesta su Washington.
Oltre a lui, molte altre persone nel mondo che in quel periodo si battevano per gli stessi ideali hanno pagato con la vita la novità delle proprie idee: fra queste il presidente John Fitzgerald Kennedy, che aveva sostenuto l’integrazione razziale fino al suo assassinio nel 1963 a Dallas e Malcolm X, altro importante leader afroamericano, ucciso nel 1965.
Nel 1968, Martin Luther King sapeva ormai da tempo che qualcuno avrebbe tentato di fermare il suo sogno con la violenza. Eppure continuò a lottare, utilizzando l’arma della non violenza seguendo l’esempio di Gandhi, risvegliando l’orgoglio del suo popolo e guidandolo alla conquista dei propri diritti.
Se nei cinquant’anni successivi l’America ha avuto un Presidente di colore è anche grazie al coraggio di uomini come lui.
Nonostante questo, purtroppo, molte ingiustizie e divisioni rimangono, non solo in America, e troppi uomini e donne vengono giudicati ancora per il colore della pelle, la religione o l’orientamento sessuale.
Eppure, ancora oggi, fra mille guerre e discriminazioni, una bambina di nove anni ha un sogno, quello di un mondo senza armi. “I have a dream” sono le sue parole, come quelle che disse suo nonno al mondo più di cinquant’anni fa e che anche nel 2018 sono una vera e propria rivoluzione.