Dacca / Il terrore e i nostri perché

Di Alison • Lo sapete già, ma partire dai fatti non è mai scorretto. Venerdì 1 luglio, Dacca, capitale del Bangladesh. Alle ore 21.20 nell’Holey Artisan Bakery, un ristorante nel quartiere diplomatico della città, entra un commando di uomini armati. Hanno pistole di vario tipo, bombe e anche una spada. Iniziano subito gli spari, esplodono granate, i terroristi hanno presto il controllo del locale e prendono in ostaggio i presenti; le successive trattative con la polizia vanno avanti per tutta la notte.

All’alba, il governo del Bangladesh decide di dare avvio a un blitz: polizia, esercito e forze speciali entrano nel locale per liberare gli ostaggi. Vengono uccisi cinque terroristi e tredici persone sono tratte in salvo. Iniziano quindi le operazioni per il recupero delle venti vittime tra cui nove italiani.

Oggi, a distanza di una settimana, questa strage assume toni sempre più agghiaccianti. Apprendiamo l’identità dei terroristi, studenti provenienti da famiglie della classe media, giovani che, avendo tutta la vita davanti, hanno deciso di strapparla ad altri. Dopo il rientro delle salme delle vittime italiane, avvenuto martedì 5, non possiamo trattenere un infuriato “Perché?!”: perché questi spari, questa strage, questi morti? Perché, ancora una volta, i terroristi sono riusciti a provocare in noi una sensazione di vero orrore?

I testimoni riportano che la sera dell’attentato è stato intimato loro di recitare il Corano, pena la morte immediata. Ma come mai si è invocato ancora una volta il nome di quel Dio che in tutte le tradizioni monoteiste ammonisce a “Non Uccidere”? Chissà se arriveremo mai a capire che su questa Terra, nel mezzo dello spazio, non siamo che un’unica umanità? Forse un giorno questo terrore cesserà e l’odio tra gli uomini si spegnerà. Forse, o forse no. Quel che è certo è che oggi non possiamo abbandonare la speranza. E far vincere il terrore.

 

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *