Di fronte a un cuore che sanguina

di Raffaele Raminelli

– “Manuela ha scelto di chiamarsi Aysha. Veste l’hijab, segue gli orari delle preghiere e in quei momenti per lei esiste solo Allah: non sente neppure se i suoi bambini piangono. Sono tollerante, ma lei è diventata fanatica”: si sfoga così Franco Barbato, ex deputato de “L’Italia dei Valori”, in un’intervista a “Il Giornale”. È impossibile rimanere indifferenti di fronte al dolore sincero di un padre. Come si può spiegare un cambiamento del genere?

Nei nostri paesi si parla del disagio giovanile con una superficialità spesso disarmante, senza comprendere cosa tormenti il cuore e la mente dei giovani e dimenticandosi che è proprio questo ”disagio” la causa di molti mali della nostra società. La giovinezza è l’età più decisiva e delicata della vita di un uomo, in quanto segnata da insoddisfazione verso la realtà quotidiana e paura per il proprio futuro. Cosa farò da grande? Troverò ciò che mi corrisponde veramente? Tutti, prima o poi, si scoprono carichi di desideri e incertezze nei confronti del proprio domani.

Per fronteggiare questa crisi d’identità la nostra società ha bisogno di una forte conoscenza di sé, dei propri valori e di una grande attenzione all’educazione delle giovani generazioni, alle quali deve essere in grado di proporre e trasmettere il proprio patrimonio culturale. L’Europa è il continente delle opportunità economiche, lavorative (i fondi per la cultura e la crescita delle aziende non mancano), tecnologiche (la qualità della vita media è tra le più alte del pianeta); spesso, però, si rivela terra inospitale e impersonale per molte persone che vi vivono. Il sistema di distribuzione delle risorse trascura le fasce sociali più deboli e instaura un clima di competizione che sottomette l’individuo alle leggi del mercato. A scuola come a lavoro il tempo dedicato alle esigenze più intime è sempre più spesso sostituito dalla ruotine opprimente, che si impone con tutta la frenesia delle “cose da fare”.

Molti ragazzi si trovano così di fronte ad un bivio senza ritorno: adeguarsi al sistema, rinunciando a se stessi, o ribellarsi per mantenere viva la propria identità. Questa seconda e drammatica possibilità, eco pirandelliana dell’avversione alle forme, può portare, nelle sue declinazioni più estreme, ad un conflitto aperto e totale con il proprio passato. È questa la situazione di Manuela e di tanti altri giovani che, rinnegando il sistema di valori tradizionali e la consolidata impalcatura sociale, abbracciano altri credo. Negli ultimi anni si è dunque sviluppato, in modo sempre più preoccupante e terribile, il fenomeno dei “foreign fighters”, attraverso il quale giovani di diversa nazionalità, estrazione sociale e livello culturale sposano la religione islamica e la jihad per sfuggire alla propria società d’origine, percepita come sbagliata, emarginante e incapace di fornire adeguate risposte alla sete di assoluto del loro cuore.

L’ultimo rapporto dell’International Center for Counter-Terrorism è inequivocabile. Dal 2012 ad oggi sono oltre 4000 i combattenti europei aggregatisi alle fila dell’ISIS. Di essi, circa il 30% sono tornati in patria e diffondono sottotraccia il seme dell’odio. La maggioranza dei foreign fighters sono musulmani dalla nascita, ma non mancano i convertiti. Il dato che più impressiona è però l’origine di questi soggetti, provenienti per oltre il 90% dalle grandi aree urbane e dalle periferie, luoghi in cui l’integrazione etnico-religiosa è ancora lontana e prevalgono ingiustizia sociale, degrado ed emarginazione. È lì che il cuore sanguina, urla inascoltato e si indurisce. È lì che le istituzioni sono meno presenti. È lì che bisogna intervenire.

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